Dopo la firma di giovedì 10 in tarda serata, torna lo Stato nella gestione dell’impianto siderurgico più grande d’Europa. Questo secondo l’accordo tra il colosso indiano dell’acciaio ArcelorMittal e Invitalia, la società del Ministero dell’economia e delle Finanze che entra con il 50% nella compagine azionaria. L’aumento del capitale iniziale per AM InvestCo è di 400 milioni di euro.
L’investimento pubblico consentirà di garantire la piena occupazione dell’impianto e di ridurre l’inquinamento per la produzione di acciaio.
Il patto sancisce la sospensione del closing dell’ingresso di Invitalia in AM InvestCo, controllata da AlcerolMittal. Tra le condizioni per l’accordo troviamo innanzitutto la modifica del piano ambientale esistente per tener conto del nuovo piano industriale. Nella nota di ArcelorMittal si parla poi della revoca di tutti i sequestri penali riguardanti lo stabilimento di Taranto e dell’assenza di misure restrittive nei confronti di AM InvestCo.
Un secondo aumento del capitale si avrà a maggio 2022, sottoscritto fino a 680 milioni da Invitalia e fino a 70 milioni da ArcelorMittal.
Da subito partirà un piano di decarbonizzazione attraverso l’avvio della produzione di acciaio con processi meno inquinanti. È prevista la creazione di una nuova linea di produzione esterna al perimetro aziendale (DRI) e di un forno elettrico interno allo stabilimento che a regime potrà realizzare 2,6 milioni di tonnellate annue di prodotto. “Circa un terzo della produzione di acciaio – sostengono Mef e Mise – avverrà con emissioni ridotte, grazie all’utilizzo del forno elettrico e di una tecnologia d’avanguardia, il cosiddetto “preridotto”, in coerenza con le linee guida del Next Generation EU. La riduzione dell’inquinamento realizzabile con questa tecnologia è infatti del 93% a regime per l’ossido di zolfo, del 90% per la diossina, del 78% per le polveri sottili e per la CO2″.
La produzione di acciaio nel 2020 è al momento in forte calo e risente dell’impatto da Covid-19. Si è passati dagli 1,8 milioni di tonnellate di gennaio agli 1,1 milioni di aprile, che significa un calo del 42,5% rispetto ai livelli di aprile 2019. In generale l’anno scorso la produzione si è attestata a 23,2 milioni di tonnellate e segna un calo del 5,3% rispetto ai 24,5 milioni di tonnellate del 2018.
L’Italia però ha subito maggiormente l’impatto del lockdown rispetto agli altri Paesi. A marzo la produzione è scesa del 40,2%, una diminuzione doppia rispetto al – 20,9% della Germania, al – 13,2% della Francia e al – 14% della Spagna. In generale, l’Ue nel mese di marzo ha visto un calo della produzione tendenziale del 20,4% a 12 milioni di tonnellate.
Il ministro del tesoro, Roberto Gualtieri e dello Sviluppo, Stefano Patuanelli hanno espresso soddisfazione per l’intesa che avrà un doppio impatto. Si prevede alla fine del processo il completo assorbimento di 10.700 lavoratori. È infatti promessa la piena occupazione per le cosiddette “tute blu” e nei prossimi cinque anni gli esuberi temporanei sarebbero coperti dagli ammortizzatori sociali dei quali lo Stato si fa garante. L’accordo resta un grande evento per l’ex-Ilva, che dopo il commissariamento del 2012, era passata alla privatizzazione nel 2018.
Sarà ora necessario vedere se l’intesa raggiunta soddisfa il territorio, con il sindacato di Taranto e di molti comuni limitrofi che avevano ipotizzato altri interventi. Il governo ha annunciato che darà vita a un tavolo con gli enti locali per accompagnare e monitorare la transizione.