Tasse sui conti correnti: perché in Italia non si investe?

tasse sui conti correnti: perché gli italiani non investono?

tasse sui conti correnti: perché gli Italiani non investono?

Giugno è alle porte e come di consuetudine lo Stato preleverà delle tasse sui conti correnti bancari e postali a titolo d’imposta di bollo.

Al giorno d’oggi, è lampante quanto la pressione fiscale su conti ed investimenti si sia incrementata. Dando un’occhiata alle varie voci di costo, è possibile notare quanto sia articolata la tassazione inerente alle attività finanziarie. Tra varie aliquote sui guadagni e aumenti dell’imposta di bollo, questo tipo di tassazione ha colpito sempre di più il patrimonio del contribuente e non solo il reddito. 

I risparmiatori italiani: la liquidità che non ti aspetti

Dagli ultimi dati di Bankitalia e riportati da Il Sole 24 ore, si evidenzia come vi sia stata una crescita di 300 miliardi rispetto al 2008, data simbolo della Grande crisi. Si contano, infatti, 1400 miliardi di euro tra conti correnti, depositi e biglietti. Per quanto riguarda i conti bancari e postali, solo nel 2018, il flusso di incremento dello stock è stato di ben 20 miliardi, dopo i 25 miliardi dell’anno precedente.

Ciò che ha caratterizzato l’ultimo decennio è stato l’importante intervento delle banche centrali con tassi spinti a zero. La conseguenza diretta sono stati dei rendimenti nulli per i conti correnti. L’assenza di alternative remunerative a rischio zero, spinge i risparmiatori a tenere i soldi sul conto anche se la gestione costa in media 79 euro annui su quelli tradizionali e 15 per quelli online.

Uno dei problemi fondamentali è la questione di scarsa conoscenza degli strumenti finanziari alternativi. I buoni fruttiferi e conti deposito presentano dei costi occulti che spaziano dall’inflazione ai mancati guadagni con altre strategie più efficienti. Nonostante tutto, restano comunque la prima scelta per i risparmiatori italiani. 

Tasse sui conti correnti
tasse sui conti correnti: perché gli Italiani non investono?

Perché i risparmiatori non investono?

Oltre ad una scarsa stabilità dei mercati finanziari e periodi di continua tensione politica, a spingere i risparmiatori a detenere maggiore liquidità è un bassissimo livello di educazione finanziaria. L’Italia, nelle classifiche internazionali di settore, è tra le ultime posizioni. Questo non aiuta a trovare soluzioni alternative ai buoni fruttiferi e i depositi. Per questo motivo è difficile spingere verso altre soluzioni persone che fisiologicamente sono legate alle liquidità. Anche perché percepiscono le asset class di investimento solo come un rischio. A il Sole 24 ore, Matteo Serio, direttore commerciale e socio di AcomeA Sgr, ha dichiarato che «Un altro fatto che spinge gli italiani a essere molto liquidi è la scarsa copertura assicurativa. Siamo un popolo che, se escludiamo la copertura obbligatoria per l’auto, ricorre poco frequentemente ad altre coperture (dalla Vita, al rischio invalidità e altro). Si tengono i soldi sul conto per far fronte alle emergenze ma non è una soluzione efficiente». In Italia si spendono 100 miliardi per il gioco d’azzardo mentre alle polizze contro i rischi gravi vanno solo 4,8 miliardi.”

Tasse sui conto correnti: dagli interessi negativi al bollo fisso

I risparmi italiani sui conti correnti sono soggetti a diverse manovre di “erosione”. Un’ulteriore minaccia potrebbe essere rappresentata dai costi finanziari sostenuti per il fenomeno dei tassi negativi. Essi devono essere riconosciuti per le somme depositate presso la Banca Centrale Europea e per coprire le quote di adesione ai sistemi di garanzia dei depositi. Costi che vanno trasferiti direttamente verso i clienti attraverso l’aumento dei canoni annui e delle spese previste per singole operazioni

Inoltre, sui conti correnti è previsto un prelievo fisso da parte del Fisco riconosciuta come “imposta di bollo”. Al contrario della tassazione sulle rendite finanziarie che colpisce sui guadagni, il bollo viene applicata in qualsiasi caso. Il pagamento della tassa è eseguito attraverso l’addebito sul conto corrente su cui gli investimenti sono collegati.

Il presupposto per la sua applicazione è l’invio di comunicazioni periodiche ai clienti in cui sono riportati il valore dei titoli in portafoglio ad una certa data. La comunicazione può essere in cartaceo online con una tempistica che fa riferimento al 31 dicembre di ogni anno.

L’imposta di bollo ammonta a 34,20 euro per le persone fisiche ed invece a 100 euro per quelle giuridiche

Tasse sui conti correnti: i casi di esenzione

Come precedentemente spiegato, l’imposta di bollo è una tassa sui conti correnti che non dipende dal guadagno ma semplicemente della presenza di un conto corrente.

Ma ci sono comunque dei casi di esenzione per cui non è necessario il pagamento della suddetta imposta e sono:

  1. nel caso in cui il limite di giacenza media sia inferiore ai 5.000 euro;
  2. le carte prepagate, anche dotate di Iban bancario;
  3. i conti correnti Paypal che non rientrano nella categoria “conti correnti bancari”, ovvero le società non mandano rendicontazioni ai clienti;
  4. Isee inferiore a 7.500 euro.