PNRR: ecco la Transizione 4.0
Questa settimana il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi ha presentato al Parlamento la bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il documento si presenta molto ambizioso e le varie forze di maggioranza l’hanno definito molto diverso, in senso positivo, rispetto a quanto proposto precedentemente dal Governo Conte. La bozza è stata approvata ed è già stata inviata alla Commissione Europea, che dovrà analizzarne la coerenza con il Next Generation EU, lo strumento per rispondere alla crisi pandemica da Covid-19. Una volta approvata da Bruxelles, entro l’estate l’Italia otterrà una prima tranche da circa 25 miliardi di euro, che potranno essere investiti per finanziare i primi progetti.
Il piano, a firma Mario Draghi, si articola in sei missioni principali, ognuna delle quali prevede misure e riforme ad hoc:
- Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura
- Rivoluzione verde e transizione ecologica
- Infrastrutture per una mobilità sostenibile
- Istruzione e ricerca
- Coesione e inclusione
- Salute
La prima missione è volta a sostenere la transizione digitale del Paese, attraverso la modernizzazione della pubblica amministrazione e il miglioramento delle infrastrutture di comunicazione e dei sistemi produttivi. È proprio qui che rientra il concetto di Transizione 4.0.
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Che cosa si intende per Transizione 4.0?
La Transizione 4.0 è definita come l’impulso alla transizione digitale delle imprese al tasso d’innovazione del tessuto industriale e imprenditoriale del Paese e può essere considerata uno dei principali pilastri su cui poggia la prima missione del PNRR. Il Piano Transizione 4.0 si configura come un’evoluzione del programma Industria 4.0, introdotto nel 2017 dal Governo Renzi ad opera dell’allora Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Il Piano Calenda aveva riscosso un grande successo e aveva creato notevoli benefici, portando ad un aumento di 11 miliardi di euro in investimenti in tecnologia in un solo anno e ad un consistente incremento della produttività, da molto tempo ormai tallone d’Achille del nostro Paese. Tale progetto, tuttavia, non era stato portato avanti adeguatamente dai governi successivi.
Cosa prevede il nuovo Piano Transizione 4.0
Il principale scopo è quello di promuovere la trasformazione digitale dei processi produttivi e supportare l’investimento in beni immateriali nei prossimi anni attraverso una serie di incentivi fiscali. Secondo quanto rimportato nel testo originale della bozza, i tre principali provvedimenti previsti sono:
- l’ampliamento dei beneficiari a tali risorse sostituendo l’iper-ammortamento, che può essere utilizzato solo dalle aziende che hanno una base imponibile positiva, con crediti fiscali di entità variabile in base all’investimento;
- il riconoscimento del credito su un orizzonte pluriennale, in modo da favorire una strategia di lungo-periodo per le imprese;
- l’aumento degli investimenti agevolabili e dell’ammontare incentivabile.
Oltre a questi elementi più burocratici il piano prevede anche incentivi per la formazione alla digitalizzazione con due obiettivi principali: da un lato la riqualificazione manageriale con l’accrescimento delle competenze gestionali per il digitale, che è un problema tipico delle PMI italiane; dall’altro l’upskilling digitale per i lavoratori in cassa integrazione, in un’ottica di formazione continua.
In totale le risorse stanziate solo per il Piano Transizione 4.0 ammontano a circa 14 miliardi di euro, una cifra minore rispetto alla bozza del Governo Conte che allocava circa 18 miliardi. È bene dire che comunque le risorse complessive non sono diminuite, ma sono state spacchettate in modo da aumentare le infrastrutture a supporto delle tecnologie 4.0, perché avere un macchinario ultratecnologico con una connessione lenta è pressoché inutile. Non a caso gli investimenti in reti ultraveloci, come banda ultra-larga e 5G, sono particolarmente consistenti. Oltre a ciò, si cerca di favorire l’internazionalizzazione delle PMI italiane e sostenere le filiere produttive, dato che a causa della frammentazione del nostro sistema industriale, è più difficile sfruttare economie di scala, sostenere i costi dell’innovazione ed aumentare la produttività.
Perché è così importante investire in industria 4.0?
L’Italia è una delle più grandi potenze manifatturiere globali, quinta al mondo e seconda in Europa. L’industria pesa da sola per circa il 15% del PIL, e considerando i servizi direttamente collegati si arriva a oltre il 50%. Avere un settore manifatturiero forte e resiliente è fondamentale per un Paese orientato all’export come il nostro. Se prima della pandemia la digitalizzazione e le tecnologie abilitanti 4.0 come Big Data, Internet of Things, Automation Robotics, Cloud Computing e Additive Manufacturing potevano essere considerate una fonte di vantaggio competitivo, oggi sono diventate un prerequisito. Chi non sarà in grado o non vorrà adeguarsi a questo nuovo paradigma, soprattutto in alcuni settori, è destinato al declino e alla cannibalizzazione. Per questo motivo gli sforzi principali saranno incentrati su investimenti in digitalizzazione, sostegno ala tecnologia e soprattutto formazione in questi ambiti.
Come sempre, in seguito ad una disruption, come può essere la pandemia da Covid-19, si aprono nuove opportunità di evoluzione. È fondamentale che i leader e le aziende non si adattino semplicemente alla nuova normalità del post-Covid, ma che siano in grado di progettarla per il bene di tutti, all’insegna della sostenibilità economica, sociale e ambientale. Non a caso, al tema della sostenibilità è riservata una grandissima parte delle risorse. Sostenibilità e innovazione tecnologica vanno di pari passo.
Le tecnologie digitali non sono cambiate durante la pandemia: ciò che è cambiato è il modo in cui guardiamo ad esse.