Smart working: nuova frontiera del lavoro?
Sentir parlare di smart working è sempre più frequente, ma vediamo precisamente di cosa si tratta.
Secondo la definizione del ministero del lavoro lo smart working, o lavoro agile, «è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività».
Il dipendente in modalità smart working ha diritto allo stesso compenso e alla stessa copertura assicurativa dei suoi colleghi che lavorano in ufficio.
Secondo un recente studio, in Italia, entro il 2020, il 51% delle aziende attiverà questa modalità di lavoro, mentre ad oggi solo il 39% delle realtà ne fa uso con più di 300000 smart workers. Tra i vari vantaggi troviamo sicuramente la maggiore flessibilità e il miglioramento della qualità della vita del lavoratore, che, non dovendo spostarsi per recarsi in ufficio ha più tempo a disposizione da dedicare a sé stesso e ad impegni extra lavorativi.
Dal punto di vista dell’azienda, invece, può portare ad un consistente vantaggio economico in quanto si ha un notevole risparmio sulla postazione lavorativa e sui costi legati ad essa. Infatti, con meno dipendenti al lavoro in sede, l’azienda potrebbe optare per una sede più piccola. Ci sono comunque delle problematiche da prendere in considerazione, come ad esempio il non avere più la possibilità di separare vita privata e lavoro, l’isolamento sociale del lavoratore che non avrebbe più contatti diretti con i colleghi, e i rischi legati alla mancanza di controllo e quindi la possibilità che qualcuno ne approfitti.
In Europa è una realtà molto più diffusa, mentre in Italia ci stiamo avviando lentamente e con fatica ad averne un’idea, molto spesso confondendo il lavorare uno o due giorni a settimana da casa con lo smart working.
La principale differenza con il telelavoro infatti, è proprio il non avere una postazione di lavoro fissa in cui rientrare ciclicamente, e il diritto alla disconnessione che deve essere previsto e regolamentato negli accordi tra azienda e dipendente. Tutto ciò presuppone sicuramente elevati livelli di tecnologia, in quanto è fondamentale avere a disposizione strumenti e connessioni adeguati per fare funzionare tutto in modo corretto, e di conseguenza investimenti da parte dell’azienda che decide di attuare questa modalità di lavoro. È inoltre necessario rivedere il concetto di leadership e l’organizzazione dell’azienda in quanto va rafforzato il concetto di collaborazione tra le persone e tra le organizzazioni.
Lo smart working quindi è un nuovo modo di approcciarsi al lavoro e necessita di tre passaggi fondamentali: innanzitutto bisogna rivedere il rapporto di lavoro, passando dal numero di ore lavorate agli obiettivi da raggiungere; bisogna poi ristabilire i rapporti tra manager e dipendenti passando dal controllo alla fiducia, e si devono poi rivedere in chiave smart gli ambienti di lavoro: al centro del lavoro agile c’è la persona e lo scopo di aumentare la sua produttività.
E cosa ne pensano i lavoratori?
La soddisfazione degli smart workers riguardo l’organizzazione del lavoro è molto più elevata rispetto ai lavoratori tradizionali, parliamo infatti del 39% contro il 18% e le motivazioni sono varie. Per il 46% il vantaggio più grande è la possibilità di evitare lo stress causato dagli spostamenti casa-lavoro, per il 43% c’è un netto miglioramento dell’equilibrio tra vita privata e lavoro e il 41% sperimenta un aumento della qualità dei risultati prodotti.
Per alcuni le difficoltà sono dettate dagli sforzi necessari alla programmazione delle attività e alla gestione delle urgenze in autonomia, mentre altri reputano le distrazioni esterne come problematica principale. Un lavoratore più soddisfatto è anche più produttivo, ma tutto ciò deve essere accoppiato ad una maggiore responsabilizzazione sui risultati.
In altri paesi c’è una predisposizione culturale che considera il lavoro da casa serio e impegnativo quanto quello in ufficio, mentre in Italia esiste ancora una concezione di sorveglianza legata al lavoro.