Il Digital Markets Act e le contestazioni delle Big Tech
Nel contesto delle recenti evoluzioni normative nell’Unione Europea, il Digital Markets Act (DMA) ha scosso il panorama delle piattaforme online, prendendo di mira giganti del settore come Meta, Google, e Amazon. In questo articolo, esploreremo le nuove regole introdotte e le risposte delle aziende tech di fronte a un cambiamento che potrebbe ridefinire il modo in cui operano sul mercato digitale.
Cosa troverai in questo articolo:
L’introduzione del Digital Markets Act
L’Unione Europea ha recentemente introdotto una normativa sui mercati digitali (Digital Markets Act, abbreviato in DMA) volta a stabilire i criteri per individuare le piattaforme online di grandi dimensioni che controllano l’accesso a determinati mercati o servizi digitali. Tra i punti principali presi in considerazione per identificare queste imprese, vi sono il detenimento di una posizione economica forte all’interno dell’UE e il ruolo di intermediazione nel collegare utenti ad altre imprese. Inoltre, devono possedere una posizione nel mercato solida e stabile nel tempo.
La motivazione principale dietro la normativa è la tutela degli utenti e della concorrenza. Infatti, la normativa permetterà agli utenti commerciali che dipendono dai “gatekeeper” – ossia i “guardiani del mercato” – per offrire i loro servizi di operare in un contesto più equo. Inoltre, anche le giovani imprese che operano nel settore delle piattaforme online potranno avere nuove opportunità nel mercato. Dal lato dei consumatori, l’intenzione è che questi possano avere accesso a servizi più numerosi e di miglior qualità, con prezzi più equi.
I “gatekeepers” e le regole del Digital Markets Act
Le nuove regole stringenti prevedono che, per esempio, le aziende gatekeeper non possano più favorire i loro stessi prodotti e servizi sulle piattaforme a scapito di quelli offerti da terzi. Inoltre, non potranno impedire agli utenti di disinstallare software e app preinstallate. In caso di violazione, le imprese incorreranno in multe salate, di valore fino al 10% del fatturato annuo o fino al 20% in caso di violazioni ripetute.
Insomma, il potere economico delle più grandi aziende del settore delle piattaforme online sta per essere messo in discussione. La lista delle piattaforme interessate dal DMA è stata resa nota lo scorso settembre. Si tratta di sei società operanti in otto settori diversi: Alphabet (Google), Amazon, Apple, ByteDance (TikTok), Meta (Facebook) e Microsoft. Le aziende avranno sei mesi a partire dalla designazione per adeguarsi alle norme: si tratta del primo tentativo a livello mondiale di operare un controllo delle grandi piattaforme online.
Come prevedibile, la risposta delle aziende tech non è stata positiva.
Le contestazioni di Meta e TikTok
Poche settimane fa, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha confermato di aver ricevuto quattro denunce, di cui due da parte di Apple e una ciascuna da parte di Meta e TikTok. Le imprese hanno contestato la decisione di essere incluse nella lista dei gatekeepers ai sensi del DMA e dunque la necessità di adeguarsi alle rigide normative imposte. ByteDance, proprietaria dell’app TikTok, ha dichiarato di essere al di sotto della soglia di dimensioni stabilita dalle regole del DMA e di non poter quindi essere considerata un gatekeeper. Al contrario, l’azienda ha definito la propria piattaforma come relativamente giovane, essendo attiva in Europa da soli 5 anni, oltre che principale sfidante di piattaforme più consolidate.
In modo simile, Meta ha presentato un appello contro la designazione di gatekeeper affibbiata alle sue piattaforme Messenger e Marketplace. Infatti, secondo l’azienda, Messenger sarebbe una semplice funzionalità di Facebook, mentre Marketplace è un servizio consumer-to-consumer e non un servizio di intermediazione online. Al contrario, la designazione di gatekeeper per Facebook, Instagram e Whatsapp non è stata contestata.
Anche Apple e Microsoft contro il DMA
Sorprendente è stata poi la risposta di Apple, che ha tentato di aggirare la regolamentazione europea affermando di offrire non uno, ma tre diversi browser Safari, ciascuno al di sotto della soglia di utilizzo stabilita dall’UE. Secondo il colosso statunitense, infatti, i browser Safari offerti sui suoi diversi sistemi operativi (iOS, iPadOS e macOS) sarebbero diversi, ma ciò è in evidente contrasto con il modo in cui il prodotto è stato sempre presentato. Il goffo tentativo è stato prontamente liquidato dalla Commissione Europea, che ha citato come lo stesso marketing di Apple proclami l’unicità di Safari.
Al momento non sembra essere andata meglio a Microsoft, che avrebbe chiesto di escludere Bing, Edge e Microsoft Ads dai prodotti regolamentati dal DMA, con la motivazione che questi avrebbero un utilizzo molto limitato da parte degli utenti. Tuttavia, tale dichiarazione non sembra essere sufficiente per l’UE e la multinazionale dovrà adeguarsi alla regolamentazione.
Alle aziende verranno lasciati sei mesi, a partire dall’introduzione del DMA a settembre 2023, per adeguarsi al DMA. Dopo dei primi tentativi di aggirare le regole, che al momento non sembrano andare a buon fine, arriverà il momento di riconsiderare il proprio modo di operare online. Cosa cambierà per gli utenti e per i competitors? Dovremmo scoprirlo presto.