Automazione e salari: innovazione in crescita fino al 5% dove i minimi salariali aumentano

Illustrazione di un braccio robot (Pixabay FOTO) - www.managementcue.it
Salari più alti e automazione? Se aumentano i salari, è aumenta anche la produzione. Ma esistono lati negativi.
Sei il proprietario di un’azienda e immagini di svegliarti una mattina con una notizia bomba: il salario minimo è aumentato. Da un lato, sei felice per i tuoi dipendenti, che avranno più soldi in tasca. Dall’altro, inizi a sudare freddo: come farai a coprire i costi senza andare in rosso? Beh, se sei come molte altre imprese, la risposta potrebbe essere: automazione.
Un nuovo studio dell’Università di Zurigo conferma quello che da anni gli economisti sospettavano: quando il costo della manodopera aumenta, le aziende si ingegnano per trovare soluzioni più efficienti. E spesso, questo significa investire in tecnologie che sostituiscono il lavoro umano con macchine sempre più avanzate.
Ma attenzione, non tutto funziona allo stesso modo. Se gli stipendi dei lavoratori meno qualificati aumentano, le aziende accelerano nello sviluppo di nuove tecnologie di automazione. Se invece sono i salari dei lavoratori altamente specializzati a salire, la situazione si complica: gestire e programmare macchine avanzate richiede competenze elevate, e se queste competenze diventano troppo costose, l’automazione potrebbe rallentare.
La ricerca si è basata su dati provenienti da brevetti industriali e informazioni sui salari in 41 paesi, dimostrando con numeri alla mano che l’aumento dei salari minimi ha un impatto diretto sull’innovazione tecnologica.
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Il legame tra stipendi e robot
La relazione tra salario minimo e automazione non è un concetto nuovo. Già negli anni ’60, aziende come General Motors e Ford iniziavano a sperimentare con bracci robotici nelle catene di montaggio, spinti dall’aumento dei costi della manodopera. Ma oggi il fenomeno è diventato globale e tocca settori molto diversi: dall’industria tessile alla logistica, dai fast food alla sanità. Lo studio ha dimostrato che un aumento dell’1% del salario minimo porta a un incremento dal 2% al 5% nelle innovazioni legate all’automazione. In pratica, più i lavoratori costano, più le aziende sono incentivate a sostituirli con macchine.
Un effetto che, nel lungo termine, può trasformare interi settori, rendendoli più efficienti, ma anche più robotizzati. E qui sorge una questione cruciale: cosa succede ai lavoratori che vengono “rimpiazzati”? Se da un lato l’automazione riduce i costi per le aziende e aumenta la produttività, dall’altro pone una sfida sociale non indifferente. Per questo, molti esperti sottolineano l’importanza di investire nella riqualificazione della forza lavoro, affinché i lavoratori possano adattarsi alle nuove tecnologie invece di esserne messi da parte.

Il paradosso del lavoro specializzato
Ma attenzione, non sempre più tecnologia significa più automazione. Quando i salari dei lavoratori altamente qualificati aumentano, succede qualcosa di strano: invece di spingere sull’innovazione, molte aziende rallentano. Il motivo? La tecnologia non si gestisce da sola. Servono ingegneri, tecnici e programmatori per far funzionare le macchine, e se il loro costo diventa eccessivo, allora l’automazione potrebbe risultare meno conveniente. Un esempio lampante viene dalla Germania e dalle riforme Hartz dei primi anni 2000. Queste misure hanno abbassato i salari per i lavori meno qualificati, riducendo la spinta verso l’automazione. Di conseguenza, le aziende tedesche hanno investito meno in innovazione rispetto ai paesi in cui il costo della manodopera era più alto.
Un effetto controintuitivo che dimostra quanto il mercato del lavoro possa influenzare la direzione della tecnologia. E qui si apre un dibattito interessante: qual è il giusto equilibrio tra innovazione tecnologica e protezione del lavoro? Se i salari sono troppo bassi, le aziende non hanno bisogno di automatizzare, rallentando il progresso tecnologico. Se invece salgono troppo, il rischio è che molte professioni vengano sostituite dai robot. La soluzione potrebbe essere quella di investire in politiche che favoriscano la transizione verso un’economia più tecnologica, senza lasciare indietro i lavoratori.