Lavoratore stressato (Depositphotos foto) - www.managementcue.it
Quando il successo di un collega diventa una minaccia: come l’invidia sul lavoro può trasformarsi in esclusione.
Sul posto di lavoro si sente spesso parlare di qualità come creatività, determinazione e spirito d’iniziativa. Tutti elementi fondamentali, certo, ma c’è un altro lato della medaglia che si tende a ignorare: a volte, chi è troppo bravo rischia di diventare un problema per il team. Sembra assurdo, ma mantenere l’equilibrio all’interno del gruppo può contare più dell’innovazione stessa. E se qualcuno eccelle troppo, può finire per essere isolato invece che premiato.
In un team, è inevitabile confrontarsi con gli altri. Ma quando il paragone diventa una fonte di stress, scatta qualcosa di strano: invece di ammirare chi ha successo, alcuni colleghi possono iniziare a provare invidia. E l’invidia, si sa, non è mai una buona consigliera. Questo può portare a comportamenti che danneggiano il clima lavorativo, come l’emarginazione di chi si distingue troppo. Insomma, chi lavora bene non sempre viene visto come un esempio da seguire, ma come una minaccia.
Questo accade soprattutto in ambienti altamente competitivi, dove i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Finanza, vendite, sanità—qualsiasi settore in cui le prestazioni vengono misurate con numeri e classifiche. In questi contesti, chi supera gli obiettivi può essere visto come un campione… ma anche come un pericolo per il resto del gruppo. E così, paradossalmente, l’eccellenza può diventare un fattore di isolamento.
Ma perché succede? Perché quando qualcuno spicca troppo, può far sentire gli altri inadeguati. E invece di cercare di migliorarsi, alcuni preferiscono un’altra strategia: escludere il collega più bravo, magari lasciandolo fuori da decisioni importanti o riducendo le interazioni con lui. Il problema è che questo atteggiamento ha conseguenze pesanti non solo sul singolo, ma su tutta l’azienda.
Uno studio della Rutgers Graduate School of Applied and Professional Psychology ha analizzato questo fenomeno con dati alla mano. I ricercatori hanno coinvolto 630 lavoratori appartenenti a 131 team aziendali di settori diversi, dalla sanità alla finanza, e i risultati parlano chiaro: nei gruppi dove l’invidia è più forte, i dipendenti più proattivi vengono spesso esclusi. E quando si sentono isolati, iniziano a perdere motivazione e, in molti casi, rallentano volontariamente il loro rendimento.
Lo studio, condotto attraverso due sondaggi a distanza di un mese, ha mostrato che chi viene ostracizzato tende a cadere nella cosiddetta “production deviance”, ovvero un calo intenzionale della produttività. Un meccanismo perverso che si autoalimenta: l’invidia porta all’isolamento, l’isolamento genera frustrazione e la frustrazione si traduce in un rendimento più basso. Alla fine, il danno non lo subisce solo il singolo, ma l’intero team.
Come si può evitare tutto questo? Secondo gli esperti, il ruolo dei manager è fondamentale. Il problema nasce spesso da un sistema di valutazione che premia solo i migliori, mettendo gli altri in competizione tra loro. Per questo, è importante che le aziende riconoscano il valore di ogni singolo dipendente, senza fare confronti diretti con i top performer.
Alla fine, l’ambizione è positiva, ma solo se non diventa una guerra tra colleghi. Un ambiente di lavoro sano dovrebbe basarsi sulla collaborazione, non sulla paura di essere messi in ombra. E sta ai leader aziendali creare una cultura inclusiva, dove il successo di uno non sia visto come una minaccia per gli altri, ma come un vantaggio per tutti.