Nel contesto attuale, la questione migratoria rimane uno dei temi più discussi in Europa, e ogni decisione giudiziaria può avere conseguenze importanti per le politiche in atto. Negli ultimi mesi, il Governo italiano ha cercato di implementare nuove strategie per affrontare l’arrivo di migranti sulle coste italiane, cercando soluzioni che coinvolgano anche paesi terzi come l’Albania. Tuttavia, il cammino non sembra privo di ostacoli, come dimostrato da una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea.
Il piano del Governo prevede l’uso dei CPR albanesi come punto d’approdo per i migranti provenienti da paesi considerati “sicuri”, applicando una procedura accelerata per la valutazione delle domande di asilo. L’obiettivo dichiarato è quello di velocizzare i processi burocratici e gestire più efficacemente i flussi migratori, riducendo la pressione sui centri di accoglienza italiani. La durata prevista di tale procedura sarebbe di soli 28 giorni, rendendo l’operazione più rapida rispetto agli standard attuali. Tuttavia, questo modello ha iniziato a scricchiolare dopo la decisione della Corte Ue del 4 ottobre, che ha sollevato importanti questioni riguardo alla definizione di “Paese sicuro”. La sentenza mette in discussione l’intero impianto su cui si basa il trasferimento dei migranti in Albania, sottolineando che la lista dei paesi considerati sicuri dall’Italia non rispecchia quella riconosciuta dal diritto comunitario.
Uno dei punti chiave del giudizio riguarda la divergenza tra la concezione italiana di “Paese sicuro” e quella comunitaria. Secondo la legge italiana, possono essere considerati sicuri anche paesi come Tunisia, Egitto e Bangladesh, nonostante lo stesso governo italiano riconosca l’esistenza di condizioni pericolose per determinati gruppi sociali, come omosessuali, transessuali o oppositori politici. Si tratta di una visione parziale della sicurezza, che tiene conto solo di una parte della popolazione. La Corte di giustizia europea, al contrario, ha stabilito che la sicurezza di un paese deve essere valutata nella sua totalità, ossia per l’intera popolazione e non solo per una parte di essa. Questo significa che, applicando rigorosamente questa regola, l’Italia avrebbe a disposizione una lista di paesi sicuri molto più ristretta, con Capo Verde come unico paese africano che potrebbe soddisfare i criteri richiesti.
Questa sentenza ha avuto effetti immediati sulla gestione dei migranti da parte dell’Italia e in particolare sull’operazione con l’Albania. Il trasferimento e la detenzione dei migranti nei CPR albanesi richiedono infatti la convalida da parte della magistratura italiana, che non può ignorare le direttive stabilite dalla Corte di giustizia europea. Questo significherebbe che qualsiasi migrante proveniente da un paese non ritenuto completamente sicuro potrebbe contestare il proprio trattenimento, avviando potenzialmente lunghe battaglie legali.
Gli avvocati incaricati della difesa dei migranti, che l’Italia è obbligata a fornire per legge, potrebbero sfruttare la sentenza della Corte per contestare la validità del trasferimento in Albania, mettendo così in crisi il sistema nel suo complesso. In pratica, l’Italia potrebbe essere costretta a rivedere la propria lista dei paesi sicuri, ridimensionando la portata dell’operazione Albania. Nel frattempo, mentre il dibattito legale si svolge nei tribunali italiani ed europei, la logistica del piano richiederà risorse continue: elettricità, connessione internet e acqua corrente per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti.