Nel panorama imprenditoriale internazionale, contesto dinamico e mutevole, sono di estrema attualità argomenti come: innovazione nelle aziende e intelligenza artificiale. Ma al di là delle parole, come sono realmente posizionate le imprese rispetto questi argomenti? Cosa indicano i dati?
Enrico Mercadante, responsabile per l’innovazione di Cisco Italia e a capo del gruppo “Specialists team Cisco” per la regione Sud Europa, ha presentato i risultati di una indagine svolta su 8000 grandi aziende globali del settore privato, tra le quali 200 italiane. Aziende con un numero di dipendenti maggiore o uguale a 500 unità e distribuite su circa 30 diverse nazioni. Obiettivo: fare il punto sull’accelerazione della trasformazione digitale. Aziende, intelligenza artificiale e innovazione.
Fino a poco tempo fa il modello d’innovazione di riferimento poteva essere definito di tipo lineare. Modello in cui tutta la fase di Ricerca e Sviluppo era principalmente governata da tre variabili:
La prima: indicava gli obiettivi chiave durante il ciclo di vita del prodotto o del servizio. La seconda: il grado della qualità e least but not last il time to market; ovvero i tempi di mercato. I giusti tempi per non perdere le opportunità offerte dal mercato.
Oggi, innovare, è molto più complesso. L’innovazione richiede molte più qualità. Alle precedenti si aggiungono: temi di security, di trust e di privacy. Un prodotto va pensato sicuro fin dall’inizio e in grado di preservare la privacy dei clienti finali. Oltre la sicurezza, contano fattori come la semplicità di utilizzo. È facile da usare? i clienti sapranno utilizzarlo? è immediato da capire?. Questo per evitare che il prodotto non venga mai usato.
Rispondere a domande come: è facilmente programmabile? rispetta le legislazioni locali? Si può installare ed usare in uno Stato che vuole mantenere la sovranità dei dati critici dei propri cittadini? Come facilmente intuibile la sommatoria di tutte queste variabili ha inciso e cambiato totalmente il modello di innovazione. Tutto questo dimostra che oggi il modo di fare innovazione, è totalmente diverso, cambiato.
Osservando attentamente la slide successiva, ci si rende conto di come sia stato veloce il processo di evoluzione dell’AI negli ultimi anni.
Il punto uno fa riferimento a tutti gli algoritmi e a tutta la ricerca in corso sull’AI. Ebbene, è facile notare come sia stato immediato il passaggio dal primo all’ultimo punto. Bypassando i punti intermedi. Dal punto 1 ad oggi, momento in cui l’intelligenza artificiale è già nelle mani dell’utente finale. Mentre i punti 2 e 3 rappresentano le fasi in cui le aziende avrebbero potuto utilizzare l’AI per costruire prodotti e servizi sempre più efficaci e ottimizzare i propri processi di produzione.
La ricerca mostra che questa tendenza è stata causata dalla curva esponenziale che la domanda dell’AI ha avuto. Il fenomeno della consumerizzazione, in questo caso dell’AI, è quell’orientamento per cui le nuove tecnologie si diffondono prima tra gli utenti finali, per poi, in un momento successivo, approdare nelle aziende. La tendenza attuale indica che il fenomeno sia in fase di rientro, creando una certa pressione sulle aziende e spingendo i due terzi di esse a dichiarare di dover adottare rimedi in brevissimo termine. Nell’arco dei prossimi 6 mesi.
Oltre a voler proteggere il loro business la spinta all’innovazione viene anche dagli investitori, dai consumatori, dai team interni all’azienda, e dagli amministratori delegati. Tutti turbati dalla furiosa transizione del mercato ma motivati dalla possibilità di ingabbiare a proprio vantaggio questa nuova opportunità. Tra i motivi principali per cui le imprese utilizzeranno l’AI troviamo: efficienza e produttività, innovazione e minimizzazione del rischio per il business.
Tutti vantaggi che le aziende conoscono bene. La successiva diapositiva mostra come la maggior parte delle imprese stimata in un 84% valuti l’impatto che l’AI avrà sul proprio business tra il significativo e il molto significativo. Solo un residuo 16% crede che l’impatto dell’AI possa essere moderato o limitato.
La ricerca ha chiesto: In che modo sarà usata l’AI dalle aziende a supporto dei loro processi? E’ emerso che le aree da cui trarre profitto dall’applicazione della intelligenza artificiale sono molte. Ma tra queste le principali sono: Infrastruttura IT, Cibersecurity, Customer Experience.
Il principale interesse della ricerca era esaminare i sei punti chiave: Strategia, infrastruttura, dati, governance dei processi, cultura aziendale, talenti. Analizzando questi punti, dare risposta alla domanda: Come sono posizionate, attualmente, le aziende rispetto l’intelligenza artificiale?
Per queste sei voci è stata formata una scala che va da 1 a 100. Ad ognuno dei riferimenti è stato attribuito un diverso peso. In particolare, i termini infrastrutture e dati restituiscono un contributo maggiore. La sommatoria di tutti i dati rimanda un indice generale che dà l’indicazione di preparazione delle aziende. Elenco così diviso: non preparate, poco preparate, sopra la media o totalmente preparate alla transizione tecnologica dettata dall’AI.
Le aziende sono veramente pronte? I numeri e l’indice generale che media le sei variabili, descritte precedentemente, ci dicono che: globalmente solo il 14% delle aziende è pronta per l’intelligenza artificiale. In Italia siamo all’8%, molto indietro rispetto un 14% globale. In generale, in Italia, abbiamo una media abbastanza bassa di aziende pronte.
Analizzeremo individualmente i 6 punti (strategia, infrastrutture, dati, governance, talenti e cultura) partendo dalla strategia. Globalmente, il 95% delle aziende ha una strategia. L’84% di esse è concentrata sulle infrastrutture. Sul tema della strategia il confronto tra situazione globale e il nostro Paese ci suggerisce che siamo ben posizionati. Addirittura, meglio. Le aziende italiane hanno una idea più coerente, più cosciente di come usare l’intelligenza artificiale.
Il 95% delle aziende è consapevole dell’importanza e dell’impatto che l’AI avrà sulle infrastrutture. Ma solo il 13% è già a lavoro sulle proprie reti interne. Il prossimo grafico, infrastrutture in generale (non solo reti), mostra come solo il 17% delle aziende siano pronte mentre in Italia il dato scende ad un 11%. In termini calcistici diremmo che in Italia la strategia è in vantaggio sulle infrastrutture.
I dati prima di essere dati in pasto all’intelligenza artificiale, devono essere ordinati, “normalizzati” o non polarizzati. La successiva immagine mostra come il 59% delle imprese sia già in possesso di dati “puliti” pre-processati, pronti per l’AI e con una buona integrazione con gli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Invece un 19% delle aziende dichiara di avere, ad oggi, difficoltà nell’estrarre i dati a causa di una eccessiva loro centralizzazione. Un altro 22% ha un facile accesso ai dati.
Per governance sì intende il modo in cui vengono gestiti i processi. Tra questi: l’impatto che hanno sui dipendenti e sulla società. Eventi ai quali va ad aggiungersi il fairness. Il concetto di fairness è traducibile con equità. I sistemi di apprendimento automatico utilizzano degli algoritmi. Questi algoritmi vengono modellati con caratteristiche che gli permettono di individuare modelli comportamentali, che nei fatti, portano individui o eventi sempre al successo.
Lasciati al caso questi algoritmi rischierebbero di riproporre, pratiche e modelli già trionfanti in passato, e questo a discapito di una giusta equità. Alcuni di questi strumenti sono stati usati in ambito giuridico. Algoritmi di ausilio ai sistemi giudiziari, nelle condanne penali, sono stati usati per prevedere il rischio di recidiva. Diversi studi hanno dimostrato come questi strumenti informatici attribuivano maggiori probabilità di recidiva, verso imputati con determinate caratteristiche etniche rispetto ad altri. Creando una situazione di falsi positivi e di falsi negativi con punti percentuali diversi.
Solo il 38% di queste aziende ha implementato processi per avere una ragionevole sicurezza che quando le AI usino i loro prodotti rispondano a Leggi di etica, nazionali e della società. Per la Governance, la successiva immagine, mostra come, in Italia, ci sia ancora molto da lavorare.
L’intelligenza artificiale impatterà sicuramente su tutti noi: lavoratori e aziende. Qualsiasi cosa faccia l’azienda e qualsiasi ruolo abbia il lavoratore. Ed è per questo che il 98% delle aziende è intenzionata a convogliare una buona parte dei propri investimenti in upskilling. Un miglioramento o riqualificazione delle competenze del proprio personale.
L’Italia anche qui si mostra abbastanza indietro. Come dimostrano i successivi grafici.
In Italia solo un 11% è totalmente pronto a dispetto di un 17% a livello globale che si ritiene già pronto.
Per cultura si è voluto indicare il grado di predisposizione dei dipendenti al cambiamento di paradigma. Quanto, cioè, i dipendenti siano pronti a confrontarsi con l’innovazione. Quello che salta subito agli occhi è la sostanziale differenza tra i gradi apicali delle aziende , board e leadership, meglio predisposti all’innovazione e le figure più operative, impiegati e lavoratori che pare oppongano una maggiore resistenza al cambiamento. Questa difficoltà all’innovazione potrebbe essere dovuta al timore di un radicale cambiamento del mercato del lavoro.
In Italia anche se ancora indietro siamo abbastanza allineati alla media globale.
Cosa ci suggerisce quest’indagine? Il primo, interessante e importante dato, ci dice: quasi due terzi delle aziende crede di dovere implementare nei prossimi dodici mesi una strategia o un metodo, per l’AI, in grado di difendere il proprio business da ripercussioni negative e non avere problemi sul mercato.
Ma in cosa consiste questa strategia? La ricetta delle aziende per il prossimo anno per affrontare la sfida dell’intelligenza artificiale potrebbe essere riassunta con i seguenti punti:
Cisco, come sempre, in particolare con queste accurate indagini, riesce a restituire un quadro chiaro. Un’immagine fedele di come sono posizionate le aziende, hic et nunc, a livello globale e italiano riguardo l’intelligenza artificiale.