“Greenwashing”: la pratica sotto accusa in USA e UE

Closeup of wooden mallet on table in courtroom


Il “greenwashing” rappresenta la strategia con cui un’azienda o un’organizzazione cerca ingannevolmente di promuovere la propria immagine come ecologica e sostenibile, pur non adottando pratiche ambientali effettivamente responsabili. In sintesi, si tratta di un tentativo di presentare un’immagine “verde” o eco-friendly senza fornire prove concrete o avere un impatto significativo sulle questioni ambientali. Questa pratica può trarre in inganno i consumatori, inducendoli a credere che un’azienda sia più sostenibile di quanto effettivamente sia. Tuttavia, sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea, tale fenomeno è ora al centro dell’attenzione delle associazioni dei consumatori. Vediamo il motivo.

La denuncia contro PepsiCo: greenwashing e inquinamento

È di pochi giorni fa la notizia che lo Stato di New York sta citando in giudizio PepsiCo, la seconda azienda alimentare a livello mondiale, a causa degli imballaggi di plastica utilizzati dalla multinazionale e del loro impatto ambientale. Il caso è stato innescato da un sondaggio condotto dal procuratore generale di New York, Letitia James, sui rifiuti di plastica raccolti nel fiume Buffalo. Dei 1.916 pezzi di rifiuti raccolti, il 17% è attribuibile a PepsiCo, seguito dai rifiuti del fast food McDonald’s con il 5,7% e quelli del produttore di caramelle Hershey con il 4,2%.

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La denuncia contro PepsiCo rappresenta solo una delle numerose cause legali promosse negli Stati Uniti da autorità locali, gruppi per la protezione del consumatore e organizzazioni no-profit. L’obiettivo comune è spingere le aziende a ridurre il loro impatto sull’ambiente investendo nella ricerca di imballaggi più sostenibili. Uno dei problemi collegati al modo in cui le aziende comunicano con i consumatori è il cosiddetto “greenwashing”. Si tratta della pratica di promuovere in modo ingannevole l’impegno di un’azienda nella sostenibilità ambientale, che spesso però non è corroborato da dati oggettivi. In tal modo, il consumatore viene tratto in inganno, convinto di acquistare un prodotto “sostenibile” che in realtà tale non è.

L’accusa contro PepsiCo riguarda la mancata sensibilizzazione dei consumatori sulle conseguenze ambientali legate alla plastica monouso e il tentato inganno circa il proprio impegno nel combattere l’inquinamento legato alla plastica. Il colosso americano di recente ha persino aumentato l’uso di plastica vergine che si aggira intorno all’11% secondo i dati registrati nel 2022. Ma i rifiuti di PepsiCo non inquinano solo New York. Tra il 2018 e il 2020, l’organizzazione no-profit Break Free From Plastic ha analizzato i rifiuti proveniente da oltre 2.000 raccolte separate sul territorio americano. Secondo questo studio, PepsiCo è risultata il più grande produttore di rifiuti. Tuttavia, non si tratta dell’ unica azienda a praticare il greenwashing a fronte di uno scarso interesse verso la questione ambientale. Casi simili, infatti, hanno riguardato anche altre aziende che operano nell’Unione Europea.

Anche l’Europa condanna il greenwashing

In Europa, alcuni gruppi per la tutela del consumatore hanno presentato denuncia formale alla Commissione Europea sostenendo che grandi aziende di bevande stiano ingannando i consumatori con pratiche di greenwashing. Queste multinazionali, infatti, farebbero pubblicità ingannevole affermando che le loro bottiglie di plastica sono completamente riciclate o riciclabili, fatto non corroborato da alcun dato scientifico.

Le aziende denunciate sono tra i più importanti produttori di bevande in Europa: si tratta di Coca-Cola, Nestlé e Danone. Le tre multinazionali avrebbero promosso le loro bottiglie di plastica come “100% riciclabili” o “100% riciclate”, diffondendo informazioni false. Secondo il Bureau Européen des Unions de Consommateurs (BEUC), le bottiglie per bevande sono tra le forme di plastica più diffuse che inquinano le spiagge europee. Si stima che in un anno si consumino in media 118 litri di acqua in bottiglia a persona, il 97% dei quali viene venduto in bottiglie di plastica. Ma cosa accade a queste bottiglie dopo il consumo? Qual è la reale quantità di plastica che viene riciclata e quanta ne viene trasformata in nuove bottiglie?

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Secondo il BEUC, la quantità di plastica riciclata dipende da una serie di fattori, tra i quali i sistemi che vengono utilizzati per raccogliere le bottiglie. A questi, si aggiungono le strette norme sui materiali che possono essere utilizzati per confezionare cibi e bevande. Secondo le stime di Zero Waste Europe (organizzazione no-profit impegnata nella sostenibilità), solo circa la metà di tutte le bottiglie di PET utilizzate nell’Unione Europea sarebbe effettivamente riciclato.

Quindi, affermare che una bottiglia di plastica è riciclabile al 100% è un dato errato e fuorviante. Allo stesso modo, anche affermare che una bottiglia sia costituita al 100% da plastica riciclabile è errato. Infatti, parti come i tappi e le etichette non possono essere realizzati con materiali riciclati. Si tratta di greenwashing da parte delle aziende che cercano di occultare la realtà dei fatti ai consumatori.

Unione Europea: nuove regole contro la pubblicità ingannevole

A fronte delle denunce contro le aziende produttrici di bevande, Parlamento e Consiglio Europeo hanno di recente raggiunto un accordo provvisorio che introduce nuove regole per vietare la pubblicità ingannevole e fornire ai consumatori informazioni più precise circa i prodotti da loro acquistati. Saranno vietate una serie di affermazioni generiche e non verificate dai dati, come ad esempio le diciture “ecologico”, “naturale”, “biodegradabile” ed “eco”. Oltre a queste, saranno bandite anche le affermazioni basate su schemi di compensazione delle emissioni, come affermare che un prodotto ha un impatto “neutro”, “positivo” o “negativo” sull’ambiente. Non saranno più ammesse anche le etichette di sostenibilità che non sono basate su alcuno schema di certificazione approvato.

La relatrice del Parlamento Europeo, Biljana Borzan, ha dichiarato che la Commissione Europea si impegnerà nella progettazione di una nuova etichetta armonizzata. Questa dovrà fornire ai consumatori dati chiari e documentati sui prodotti che acquistano. Affinché l’accordo provvisorio diventi legge, dovrà ottenere l’approvazione finale del Parlamento e del Consiglio Europei nel voto che è previsto a novembre. Una volta che la direttiva entrerà in vigore, spetterà agli Stati membri incorporare le nuove regole nella loro legislazione entro 24 mesi. Dovremo dunque ancora attendere qualche anno prima che il greenwashing sia debellato dalle etichette dei prodotti. Ma per lo meno sembra di star procedendo nella giusta direzione verso una comunicazione più trasparente da parte delle aziende.