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Intelligenza artificiale e lavoro: possibili scenari futuri

Elon Musk e la prospettiva della “fine del lavoro”

In un recente incontro con il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, Elon Musk si è pronunciato sul futuro del mercato del lavoro alla luce dei nuovi sviluppi dell’intelligenza artificiale (AI), affermando che si arriverà al punto in cui il lavoro umano non sarà più necessario. Come prevedibile, l’affermazione ha attirato l’interesse globale e riaperto il dibattito sul ruolo dell’AI nella vita umana, in particolare nell’ambito lavorativo. Se è indubbio che il mercato del lavoro sarà influenzato dall’AI sotto diversi aspetti, è anche vero che tali cambiamenti non avverranno in modo spontaneo ma dovranno essere guidati dai vertici delle aziende.

Si può dunque affermare che l’AI toglierà posti di lavoro agli umani? Secondo il Rapporto sul futuro del lavoro rilasciato dal World Economic Forum nel 2020, se è vero che 85 milioni di lavori subiranno dei cambiamenti nella ripartizione dei ruoli tra esseri umani e macchine e algoritmi, risulta anche che potrebbero emergere 97 milioni di nuovi ruoli lavorativi. Dunque, secondo tale previsione, vi saranno al netto 12 milioni di nuovi posti di lavoro. Non solo l’AI non potrà rimpiazzare del tutto il lavoro umano, ma creerà nuovo lavoro oltre a stimolare l’economia.

L’influenza dell’intelligenza artificiale sui posti di lavoro

Occorre specificare che non tutti i lavori si prestano allo stesso modo ad essere svolti da algoritmi di intelligenza artificiale. Tra le professioni più “rimpiazzabili” troviamo il servizio clienti, i lavori amministrativi, il design grafico, i ruoli di inserimento dati e servizi di trascrizione, e gli analisti di ricerca di mercato. I lavoratori che hanno fondato le loro carriere interamente su tali ruoli potrebbero subire delle conseguenze e avranno bisogno di ricollocarsi su altre mansioni. In un periodo di grandi cambiamenti, sembra essere fondamentale conservare una certa flessibilità e adattabilità da parte dei lavoratori. Per esempio, è previsto un aumento delle opportunità lavorative in altri settori, come quelli che richiedono capacità di leadership e risoluzione strategica dei problemi. Ad esempio, i ruoli di people managers e programme managers richiedono sicuramente il “tocco umano”, così come ci sarà bisogno di chi sviluppa e gestisce gli algoritmi di AI, figure come research scientist dell’AI, deep learning engineer e responsabile dell’etica dell’AI.

Una posizione spesso espressa in favore dell’uso dell’intelligenza artificiale è simile a quanto veniva affermato già con l’introduzione delle prime forme di automazione industriale: sia l’automazione che l’AI permettono di ridurre o eliminare le mansioni ripetitive svolte dagli esseri umani, lasciando a questi ultimi la possibilità di concentrarsi su mansioni che richiedano l’uso di creatività e di capacità intellettive. Questo cambiamento può impattare positivamente sul benessere psicologico del lavoratore, se si considera che la soddisfazione sul lavoro è anche legata allo svolgimento di una mansione che dia scopo e senso di gratificazione. In quest’ottica, l’AI potrebbe contribuire a un miglioramento delle condizioni di lavoro e, di conseguenza, del benessere dei lavoratori.

L’intelligenza artificiale e i blue collar jobs

Secondo ricerche svolte negli Stati Uniti sulla relazione tra intelligenza artificiale e lavoro, tra i lavori meno impattati dall’introduzione dell’AI (e che, anzi, potranno trarre beneficio da quest’ultima), ci sono i cosiddetti blue collar jobs, ossia i lavori manuali specializzati che richiedono una combinazione di competenze fisiche e sociali. Negli Stati Uniti si è assistito a un boom della disponibilità di posti di lavoro nei settori della sanità, delle energie rinnovabili, della manifattura “ad alta tecnologia” (high-tech manufacturing), e della costruzione. Se i white collars (la forza lavoro impiegatizia con funzioni di carattere intellettuale) potranno essere in parte rimpiazzati dall’AI, i lavori blue collars sono sempre più richiesti. Il Business Insider riporta che, dopo la crisi del settore manifatturiero agli inizi del 2000, la tendenza si sta invertendo, e in alcuni settori, come quello della produzione dei semiconduttori, c’è un surplus di offerte di lavoro. Si stima che negli ultimi anni ci sia stato un boom occupazionale che ha portato a 9.6 milioni di offerte di lavoro in tutti gli Stati Uniti, secondo quello che gli esperti definiscono full employment (ossia, “pieno impiego”).

Tali previsioni sono supportate dalla cosiddetta teoria del cambiamento tecnologico “skill-biased”, ossia dipendente dalle competenze: i ruoli con un carattere routinario – e quindi inclini ad essere automatizzati e informatizzati – vedranno salari in declino, mentre i ruoli che prevedono una maggior variabilità di mansioni e richiedono flessibilità e interazione umana vedranno un aumento della domanda e dei salari. Ed ecco quindi che lavori come l’infermiere, il parrucchiere e il carpentiere attraverseranno indenni lo sviluppo tecnologico collegato all’AI e anzi potranno al massimo beneficiare di un supporto nello svolgimento delle loro mansioni.

La responsabilità del management nel guidare la transizione

Se quanto detto finora non è sufficiente a dissipare il rischio della scomparsa del lavoro umano, è importante considerare che l’automatizzazione del lavoro non è una conseguenza diretta e ineluttabile dello sviluppo tecnologico, ma è sempre il risultato delle scelte compiute dai manager. Una ricerca condotta da Forbes sottolinea che l’automazione è uno strumento nelle mani delle aziende che possono utilizzarlo come leva per abbassare i salari dei lavoratori, specialmente se l’azienda in questione detiene un forte potere come datore di lavoro in una certa regione (e, in casi estremi, è l’unico datore di lavoro nella zona). Ne consegue che l’automazione industriale dovrebbe essere controllata e gestita non limitando lo sviluppo tecnologico in sé, ma attraverso un’opportuna regolamentazione antitrust per limitare il potere delle aziende.

Un altro punto da considerare è che ci sono due principali direzioni per l’applicazione dell’AI nel lavoro aziendale: la prima consiste nello svolgere le stesse mansioni in un tempo più limitato, portando ad un aumento della produttività e quindi alla riduzione dei costi. Tuttavia, vi è anche la possibilità di impiegare la tecnologia non solo per ridurre i costi ma anche per aggiungere valore, sfruttando la possibilità di svolgere mansioni che prima non erano affatto possibili. Un esempio storico risale all’introduzione dei primi personal computer e dei fogli di calcolo negli anni ’80 del Novecento. Oltre a consentire di svolgere calcoli in modo più rapido ed efficiente, la piena potenzialità di questi strumenti risiedeva nella possibilità di svolgere simulazioni e analisi predittive che non potevano essere eseguite con calcoli manuali.

È evidente che i cambiamenti attribuiti all’AI non avverranno in modo spontaneo, ma dovranno essere veicolati dall’intervento umano, in particolare dalle scelte dei manager. Le nuove tecnologie creano nuove opportunità per i dipendenti, ma portano anche nuove preoccupazioni per la stabilità del loro lavoro. Certamente, nei prossimi anni il dibattito su intelligenza artificiale e lavoro continuerà ad essere intenso, mentre la sfida per i manager rimarrà quella di introdurre in modo graduale ed efficace gli strumenti di AI.

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Published by
Valeria Pinto