Con l’espressione “gender tenure gap” si fa riferimento alla differenza nella durata dell’incarico tra donne e uomini nel ruolo di CEO. Studi hanno evidenziato che, una volta raggiunto il ruolo di CEO, le donne tendono a mantenere la carica per un periodo mediamente più breve rispetto agli uomini. Questa discrepanza ha portato all’ipotesi della cosiddetta “glass cliff”, ovvero una “scogliera di vetro.”
Questo concetto fa eco al famoso “glass ceiling”, una barriera invisibile e spesso non dichiarata che impedisce alle persone, in particolare alle donne e alle minoranze, di avanzare nella loro carriera professionale e raggiungere posizioni di leadership e autorità a causa di pregiudizi o discriminazioni di genere o razziali. Mentre il concetto di “glass ceiling” evidenzia le difficoltà nel raggiungere posizioni di potere, il concetto di “glass cliff” mette in luce le sfide nel mantenere tali posizioni una volta ottenute. Ma quali sono le cause di questa disparità?
La ricerca che ha inizialmente focalizzato l’attenzione sul “gender tenure gap” è stata condotta da Russell Reynolds Associates, una società specializzata nella ricerca e selezione di alti dirigenti e leader aziendali per conto di aziende clienti. A partire dal 2018, la società ha analizzato i dati delle aziende quotate in 12 borse valori in tutto il mondo, rilevando che la permanenza media delle donne nel ruolo di CEO è di 5.2 anni, in confronto agli 8.1 anni degli uomini.
Il Guardian riporta il commento di Laura Sanderson, responsabile di Russell Reynolds nel Regno Unito, sottolineando che il risultato potrebbe essere influenzato da alcuni amministratori delegati maschi che hanno mantenuto la loro posizione per decenni (ad esempio, il CEO più longevo considerato nella ricerca ha mantenuto la carica per 39 anni). Reynolds sottolinea la necessità di interpretare i risultati della ricerca in modo critico. Ma come è nato il concetto di “glass cliff”?
Il concetto di “glass cliff” si basa sull’idea che le donne siano di frequente nominate CEO quando l’azienda sta attraversando un periodo di crisi, trovandosi in una posizione precaria. Una ricerca condotta dall’Università di Exeter nel 2005 ha rivelato una tendenza alla nomina di CEO dopo che si era verificato un declino nel prezzo delle azioni dell’azienda.
Una delle ricercatrici coinvolte nello studio, la professoressa Michelle Ryan (ora direttrice del Global Institute for Women’s Leadership presso l’Università Nazionale Australiana di Canberra), ha concordato con i risultati dell’analisi di Russell Reynolds. Secondo Ryan, se è vero che le donne sono più inclini a assumere ruoli di leadership in momenti di crisi, è logico ritenere che il loro lavoro sia più complesso, stressante e soggetto a un maggiore scrutinio. Di conseguenza, c’è la possibilità di un bias per cui le CEO vengono giudicate poco performanti a fronte di problematiche presenti già prima della loro nomina.
Un punto di vista sulla situazione attuale e le prospettive future è stato offerto da Denise Wilson, amministratrice delegata di FTSE Women Leaders, un’iniziativa lanciata nel Regno Unito per promuovere la diversità di genere nei consigli di amministrazione delle aziende quotate nell’indice FTSE 100, che rappresenta le 100 principali società quotate sulla Borsa di Londra. Wilson afferma che, sebbene ci siano stati significativi progressi nell’accesso delle donne alle professioni, l’accesso al ruolo di CEO presenta ancora molte difficoltà.
Attualmente, solo 9 aziende tra quelle quotate nell’FTSE 100 sono guidate da CEO donne. Aumentare il numero di presenze femminili in ruoli di CEO è complesso poiché tali posizioni hanno un basso ricambio e sarà necessario del tempo per vedere i risultati di un cambiamento di mentalità, che è tuttavia già in atto. Wilson ha dichiarato un aumento del numero di donne nei consigli delle aziende nell’FTSE 350, indice che rappresenta 350 società quotate sulla Borsa di Londra, includendo sia le grandi imprese rappresentate nel FTSE 100 che le società di medie e piccole dimensioni. Nel 2023, si è registrato un 41% di CEO donne, rispetto al 9,5% nel 2011, una notizia sicuramente incoraggiante.
Tuttavia, le buone notizie riguardo alle nomine di CEO donne nel Regno Unito sono compensate da dati meno positivi per quanto riguarda le nomine di donne in posizioni di leadership al di sotto dei consigli di amministrazione.
Nel 2012, quando la Commissione Europea aveva proposto una quota obbligatoria del 40% di donne nei consigli di amministrazione, il piano era stato ostacolato da alcuni Stati membri, tra cui Germania e Regno Unito. Nel Regno Unito, le quote obbligatorie erano state contrastate dal governo di coalizione dell’epoca, composto da conservatori e liberal democratici, che preferiva un approccio volontario guidato da Lord Mervyn Davies. L’approccio britannico si è dimostrato finora efficace, con il 39,1% di donne nei consigli di amministrazione delle società FTSE 100 nel 2022.
In Europa, le donne occupano mediamente il 30,6% dei consigli di amministrazione, con notevoli variazioni tra i diversi Stati membri. La Commissione Europea ha fissato l’obiettivo di garantire una quota del 40% di “sesso sottorappresentato” – di solito donne – tra i direttori non esecutivi delle grandi aziende dell’Unione Europea entro il 30 giugno 2026. L’UE ha anche stabilito un obiettivo del 33% per le donne in tutte le posizioni di alto livello, compresi i direttori non esecutivi e i direttori, come CEO e COO.
In conclusione, il “gender tenure gap” e la “glass cliff” sono sfide reali per le donne nei ruoli di CEO. Mentre significativi progressi sono stati compiuti, restano ancora disparità da affrontare. Non resta che sperare che l’attenzione su questi problemi porti a un cambiamento positivo verso un futuro più equo e inclusivo.