Siamo nel 2023 ed il “gender pay gap”, ossia il divario retributivo tra uomo e donna, in Italia continua a salire. Perchè sì, noi viviamo in un paese così tanto fintamente evoluto che secondo le analisi svolte dall’Inps nel 2022, la retribuzione media annua era pari ad euro 22.839 con una RAL maschile di euro 26.227 ed una RAL femminile di euro 18.305. Non vi sembra che i due ammontari numerici siano alquanto iniqui?
Ma che poi… ci stupiamo ancora? Oramai sembra che l’ambiente lavorativo italiano si sia adeguato alla concezione che le donne debbano guadagnare di meno, soprattutto nel settore privato. Eh si, perchè è lì che nasce il gap maggiore. Se da un lato, il numero dei dipendenti privati cresce, dall’altro cresce anche la disuguaglianza salariale e la motivazione principale sembrerebbe il lavoro part time. Infatti la percentuale delle lavoratrici part time nel 2022 era pari al 49%.
Ma quando parliamo di “gender pay gap”, a cosa facciamo riferimento? E come si calcola?
Il divario retributivo di genere è la differenza tra i compensi orari lordi di uomini e donne. Stiamo parlando quindi di un calcolo che viene fatto sugli stipendi versati ai dipendenti prima di eventuali detrazioni fiscali e contributi previdenziali. Ovviamente in questo calcolo vanno considerate anche le variabili ambientali ossia la tipologia di occupazione, il livello di istruzione ed anche l’esperienza lavorativa.
In Europa il divario retributivo varia a seconda della zona. Ad esempio, in Estonia, in Austria ed in Germania il gender pay gap è molto più alto rispetto al Belgio ed anche rispetto all’Italia… chi lo avrebbe mai detto!
Una delle motivazioni principali di questo elevato coefficiente è lo svolgimento da parte delle donne di più ore di lavoro non retribuito. Quali sarebbero i lavori non retribuiti? E’ inutile che parliamo di parità di genere o di equità di trattamento ed è inutile che facciamo i finti democratici.
La maggior parte delle donne si prende cura dei bambini e svolge lavori domestici, che come ben sappiamo, non sono lavori retribuiti. E se anche per le donne la giornata è formata da 24h, si conviene che hanno meno ore da dedicare ad un lavoro ben retribuito. Anzi “ad un lavoro retribuito” perchè il “ben” è un plus!
Il 24% del divario retributivo è dovuto alla sovrarappresentanza delle donne nei settori a bassa retribuzione come la sanità e l’istruzione e questo porta a far sì che le donne occupino meno posizione dirigenziali rispetto alla loro controparte maschile. Il divario retributivo tra i sessi, poi si allarga poi con l’età.
Siamo molto ma molto lontani da quello che viene definito “equal pay day” e nonostante le proteste e gli scioperi nulla sembra essere cambiato. Anche perchè è una disparità di trattamento che stride contro i dati che vedono le donne più istruite a tutti i livelli. Il 59,4% dei laureati in Italia è donna. E’ allora perchè dobbiamo impegnarci così tanto, dobbiamo sudare per accaparrarci un titolo di studio che abbia una valenza se poi arriva il primo uomo che vale la metà di noi ma che, rispetto a noi, guadagna il doppio? Quanto costa a livello non solo monetario ma anche culturale disincentivare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro? E soprattutto potrebbe davvero aiutare a raggiungere quella tanto agognata parità dei sessi che sembra essere sempre più lontana? Beh, che dire? Se non che il 2023 is the new Medioevo!