Annualmente Spotify, colosso della musica in streaming, pubblica il report Loud&Clear. Report in cui, tra le altre cose, indica quanto ha pagato in termini di royalties. Ebbene, nel 2021, Spotify ha pagato ben 7 miliardi di dollari di royalties, 2 miliardi in più rispetto all’anno precedente.
Spotify, con i suoi 406 milioni di utenti, è la piattaforma streaming più utilizzata per ascoltare musica. Però il pagamento di questa cifra spropositata ha portato con sé non poche critiche da parte dei musicisti. Ma perché? Cosa sono le royalties? E quanto guadagnano i musicisti tramite Spotify?
Per cercare di capire bene il mondo della musica e cosa ci sta dietro a livello di “guadagno”, partiamo dalle basi. Spotify per poter far ascoltare agli utenti una determinata canzone, deve pagare una percentuale a chi detiene i diritti d’autore di quella canzone. Dunque, chi detiene i diritti d’autore concede a Spotify la possibilità di far ascoltare quella canzone, dietro pagamento di una royalty. Facciamo un esempio. Fino a qualche tempo fa non era possibile ascoltare la discografia del grande Lucio Battisti perché chi ne deteneva i diritti d’autore non ne aveva dato il permesso. Adesso invece, e permettetemi di dire “fortunatamente”, è possibile.
Secondo un articolo di Business Insider che trovate nelle fonti, i musicisti vengono pagati tra 0,0033 e 0,0054 dollari per ogni streaming. Quindi facciamo un semplice calcolo. Se per ogni ascolto si guadagna mediamente 0,0044 dollari, per guadagnare un dollaro bisogna che, ogni canzone, venga ascoltata all’incirca 250 volte.
Sicuramente vi starete chiedendo come mai allora ci siano polemiche da parte degli artisti se Spotify paga loro una percentuale. La verità è che Spotify paga le royalties a chi detiene i diritti d’autore e non sono quasi mai gli artisti in prima persona. I detentori dei diritti di autore possono essere le case discografiche, i distributori e gli editori. Sono questi ultimi che, a loro volta, pagano i cantanti. Ne consegue dunque che, la maggior parte degli incassi, va ad arricchire le case discografiche e gli editori mentre agli artisti va solo una piccola percentuale del ricavato. È anche vero che oltre 52.600 artisti, nel 2021, hanno guadagnato circa 10.000 dollari in royalties ma la polemica nasce dal fatto che ne avrebbero potuti guadagnare di più se non avessero avuto come intermediario la casa discografica o l’editore.
Sony, Universal e Warner, le tre più grandi case discografiche presenti sul mercato, hanno guadagnato circa 12,5 miliardi di dollari grazie alle entrate tramite streaming.
Artisti come Taylor Swift, Kate Bush e Sting hanno criticato in prima persona questa modalità di pagamento ma l’amministratore delegato di Spotify si difende così:
Gli artisti meritano chiarezza sull’economia dello streaming musicale. L’anno scorso abbiamo lanciato questo sito per aumentare la trasparenza, condividendo nuovi dati sui pagamenti delle royalty di Spotify e scomponendo l’economia globale dello streaming, gli attori e il processo. I dati mostrano che l’industria musicale è più sana di quanto non lo fosse da molto tempo, e più artisti stanno trovando più successo che mai. Ma non abbiamo ancora finito, e continueremo a spingere per far crescere l’industria.
Dice Daniel Ek, AD di Spotify.
Quindi, sostanzialmente, ci troviamo di fronte ad una sorta di diatriba tra Spotify e gli artisti. Alla fine, le polemiche sorgono sempre e solo a causa del dio denaro ed è una cosa così lontana dall’arte in quanto tale che viene da pensare a quanto sia venale il mondo di oggi. La musica è arte e l’arte dovrebbe essere alla portata di tutti ma in realtà si riesce ad ascoltare una canzone senza millemila pubblicità al secondo solamente se hai un account premium. Che ovviamente è quello che costa di più! Ed anche stavolta: DENARO 1-ARTE 0.