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Sindrome da Burnout, quando l’esaurimento arriva dal lavoro

Non è difficile, soprattutto ultimamente, imbattersi nel termine “burnout” ma molto probabilmente, pochi sanno esattamente di cosa si tratta. Riconosciuto nel 2019 dall’Organizzazione mondiale della Sanità, il burnout è stato definito un “fenomeno occupazionale” diffusosi soprattutto dopo la pandemia da Covid-19. In parole molto semplici, per burnout si intende esaurimento da lavoro. Secondo lo psicologo americano Herbert Freudenberg chi soffre di burnout perde motivazione a cercare stimoli per svolgere al meglio non solo il proprio lavoro ma anche per trascorrere al meglio le proprie giornate.

Secondo lo Stada Health Report di quest’anno, rispetto al 2021 i livelli di burnout sono aumentati dal 49% al 59% soprattutto tra le donne in età compresa tra i 18 ed i 34 anni. Ma come si può prevenire questo fenomeno di stress, ansia e depressione legato principalmente al luogo di lavoro? E soprattutto, quali sono i sintomi?

Burnout, come si presenta

Il sintomo più comune è, senza ombra di dubbio, l’esaurimento emotivo accompagnato da un senso di inefficienza personale. “Non sono efficiente”, “Sono inutile”, “Non so fare il mio lavoro”. Da qui il vuoto. Con il burnout si perde la creatività, si perde la fantasia…si perde il sorriso. Si diventa aggressivi nei confronti dei colleghi e non solo. Si lavora poco. Ci si impegna sempre meno assentandosi spesso e senza motivazioni apparenti. È una problematica che ha ripercussioni anche sul fisico. Insonnia, depressione, bassa autostima. Sono i sintomi maggiormente riscontrati nelle persone che hanno sofferto o che soffrono tuttora di burnout.

Burnout, come si può prevenire

Cosa può fare l’azienda

La prevenzione dovrebbe partire, in primis, dall’azienda. Ma in che modo? Beh, creando delle gerarchie di persone che abbiano una adeguata formazione professionale come manager o supervisor. Molto spesso invece si mira ad intervenire individualmente perché si crede che il burnout sia un fenomeno strettamente personale.

Intervenire sul singolo lavoratore, risolve solamente i sintomi individuali ma non pone l’attenzione sulla causa scatenante il fenomeno. Per risolvere le cause scatenanti, infatti, bisognerebbe lavorare sul macroambiente lavorativo. Come? Mettendo in atto alcune delle seguenti attività.

Palestra in ufficio (o a casa se si lavora in smart working)

Quante persone troverebbero allettante la possibilità di allenarsi in ufficio durante la pausa pranzo o anche prima/dopo l’orario di lavoro? Dedicare del tempo all’attività fisica durante le ore di lavoro, senza dover per forza fare le corse per raggiungere in tempo un corso in palestra post lavoro, potrebbe ridurre, e non di poco, lo stress.

Incentivi e premi

Voucher, welfare, giorni di ferie insomma premi che diano al dipendente la percezione di essere apprezzato in ufficio. Molto spesso la demotivazione è causata proprio dal non avere percezione del proprio lavoro agli occhi del capo. “Starò facendo bene?” è la domanda che più attanaglia la mente del dipendente che non ha questa percezione. Da qui la demotivazione.

Parlare con professionisti qualificati

Avere consulenze con professionisti, molto spesso può dare un aiuto davvero importante. “Professionista”, però, non è solo sinonimo di psicologo. C’è chi non riesce a seguire una dieta perché è tutti i giorni in ufficio e quindi si abbatte. Essere seguita, magari in loco, potrebbe aumentarne la motivazione non solo nei confronti della dieta ma anche nel venire al lavoro e lavorare con il sorriso.

Cosa può fare la persona

Un’unica espressione. Chiara, semplice e concisa. Mindfulness. Consapevolezza. Meditare concentrandosi solo sul proprio respiro mirando alla riduzione dello stress (primo protocollo mindfulness). Attraverso semplici esercizi ripetuti con cadenza giornaliera, è possibile respingere il flusso di pensieri liberando la mente. Calma, pace e tranquillità e non l’ “hic et nunc” di Orazio. D’altronde la pratica di mindfulness nasce dai monaci tibetani e voi avete mai visto un monaco tibetano stressato o che corre? Bisognerebbe prendere esempio da loro o da Bob Marley… “Don’t worry, be happy” no?

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Published by
Maria Francesca Malinconico