Si sa, ai giovani non manca fantasia specie quando possono utilizzare illimitatamente mezzi di comunicazione come Tik Tok, Instagram ed il buon, ormai vecchio, Facebook. Oramai creare tendenze è all’ordine del giorno ed ultimo, o quasi ultimo, trend che si sta diffondendo su Tik Tok tra i giovani della Generazione Z, quella cioè composta dai ragazzi nati tra il 1997 ed il 2012, è il “Quiet Quitting”. Ma in cosa consiste questo nuovo trend?
Il “quiet quitting” o in italiano “l’abbandono silenzioso”, altro non è, che fare il minimo indispensabile. E un trend che si sta diffondendo nel mondo del lavoro e consiste nel non andare oltre le proprie mansioni, rifiutarsi di rispondere alle mail o alle telefonate dopo l’orario di lavoro o di non accettare mansioni che vanno oltre l’attività da svolgere prevista dal contratto. È una tendenza diventata virale su Tik Tok grazie ad un video di Zaid Khan, ingegnere ventiquattrenne di New York, che spiega così il suo pensiero:
Si continua a svolgere i propri compiti, ma non si aderisce più alla cultura della competizione verso sé stessi e gli altri, secondo la quale il lavoro deve essere la nostra vita. Il tuo valore come persona non è definito dal tuo lavoro.
Ovviamente il quiet quitting è una risposta ad un altro fenomeno che si era largamente diffuso nel mondo del lavoro ossia la cultura dell’hustle, lavorare 7 giorni su 7, 24 ore su 24.
Bastano davvero poche parole per spiegare questo fenomeno. La Hustle Culture è la cultura della competizione sia verso sé stessi che verso gli altri. Qualcuno potrà obiettare che la competizione fa bene e forse è vero. Ma fa bene quella sana, non quella portata all’estremo. La Hustle Culture è quel fenomeno che, nella mente umana, rende il lavoro più importante del vivere perché si vuole guadagnare di più, perché si ha un forte senso del dovere o semplicemente perché il lavoro è la sola cosa che si ha nella propria vita.
Ma analizziamo bene il termine. Cosa è l’hustle in America? In una concezione più ampia, l’hustle in America è il trambusto, il tran-tran. Se però lo immergiamo nel contesto lavorativo, hustle diventa sinonimo di stacanovismo. Ma esistono delle forme talmente sottili di hustle culture che quasi sembrerebbero non rientrare in questa tendenza ma che invece ci rientrano eccome! Un esempio? Le lavoratrici che si “vantano” di non aver preso il congedo per gravidanza ed allattamento. Ma il non aver usufruito di un proprio diritto quanto può essere considerato effettivamente un vanto? Cosa c’è da vantarsi se per diritto puoi avere un congedo per stare vicino al bambino/bambina che ti è appena nato/nata?
Nella hustle culture più si lavora, più si acquisisce valore in una sorta di gara a vincere contro i propri colleghi. Il lavoro sovrasta il nostro tempo in modo così poco naturale da non avere neanche qualche minuto per fare banalmente la spesa.
Secondo la fondatrice di Real You Leadership Nadia De Ala, il quiet quitting nasce proprio come protesta nei confronti della hustle culture.
È quasi una forma di resistenza diretta e di protesta verso l’hustle culture. E credo sia entusiasmante che sempre più persone lo facciano.
Afferma Nadia, in una delle sue ultime interviste.
Ma non tutti la pensano così. Secondo Joe Grasso, il senior director di Lyra Health, il fenomeno di quiet quitting può manifestarsi come apatia dei dipendenti nei confronti del lavoro. In poche parole, il dipendente preferirebbe stare zitto piuttosto che condividere nuove idee. Infatti, secondo il report di Gallup, nel 2022 solo il 14% dei dipendenti europei ha avuto un ruolo attivo nella propria attività lavorativa. Che poi basta davvero poco affinché un dipendente si senta parte integrante del gruppo come, ad esempio, definire i propri obiettivi di crescita all’interno dell’azienda e soprattutto avere un dialogo aperto e costruttivo con il proprio manager, attraverso feedback continui.
Promotrice del quiet quitting è la Generazione Z, ossia quella composta da tutti quei giovani che, nati nell’era del benessere, non vedono più il denaro come bene prioritario della vita. Loro vogliono essere ascoltati. Vogliono che le loro idee siano prese in considerazione e quando vedono che questo non è possibile, non sono più disposti a fermarsi in ufficio dopo l’orario di lavoro o a tenere il pc acceso durante le vacanze, nonostante gli straordinari alle volte vengano anche retribuiti (e questo non è scontato).
Ma quindi quale visione è corretta? La hustle culture o la quiet quitting? Molto probabilmente, nessuna delle due o forse entrambe. Chi può dirlo? È giusto lavorare per vivere perché è grazie al lavoro che si svolge ogni giorno che ci si può permettere una macchina, una casa e le vacanze al mare ma è anche importante ricordarsi che la vita è una e che a volte è importante fermarsi. E soprattutto, non si vive per lavorare o almeno non si vive per lavorare come un automa. I lavoratori sono persone e le persone hanno idee, spesso geniali. E tutti, tutti, vogliono quantomeno essere ascoltati. Pensate i giovani! La mente di un ragazzo tra i 20 e i 35 anni brulica costantemente di idee che vogliono essere ascoltate. Chi siete voi per non farlo?