La donna ai vertici e le quote rosa. Argomento pungente che, da che mondo è mondo, attira da un lato l’astio dei maschilisti del filone “Io Tarzan, tu Cita” e dall’altro le simpatie delle femministe del “Girl power”. Ma tra questi due emisferi così diversamente simili, cosa c’è? Quando si parla di “quota rosa” di cosa si parla? È possibile mai che nel 2022 si debba ancora sentir dire che “la donna potrebbe ricoprire ruoli di comando ma…”? Andiamo all’origine dei fatti e cerchiamo, passo dopo passo di analizzare le tappe fondamentali che hanno portato alla firma della direttiva “Women on Boards”.
La legge 120 del 2011 definita “Legge Golfo-Mosca” ha introdotto le quote di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate e appartenenti al controllo pubblico. Questa normativa inizialmente prevedeva la presenza del 30% del “sesso meno rappresentato” all’interno del board. Successivamente, e solo per le società quotate e quelle appartenenti al controllo pubblico, la percentuale è salita al 40%. Queste “quote” sanano quel gap di genere che, ahimè, non è stato ancora superato.
Ma chi controlla l’effettivo rispetto di queste percentuali? Per le quotate in borsa c’è la Consob mentre per le società che vigilano sul controllo pubblico interviene direttamente la Presidenza del Consiglio Dei Ministro o il Ministero delle Pari Opportunità. Nel caso in cui non siano rispettate queste percentuali, vengono applicate, in entrambi i casi, pesanti azioni pecuniarie. Adesso, dopo la bellezza di quasi dieci anni, finalmente l’Unione Europea ha dato l’ok per introdurre la cosiddetta normativa “Women On Boards”. Ma di cosa si tratta?
Grazie all’ok ricevuto dall’Unione Europea, è stata approvata la direttiva Women On Boards che prevede l’introduzione di procedure trasparenti per le assunzioni in azienda. In questo modo almeno il 40% degli incarichi di amministratore non esecutivo o il 33% di tutti gli incarichi di amministratore saranno occupati da donne. (in realtà la normativa parla di sesso meno rappresentato che però effettivamente è quello femminile!). L’accordo prevede che entro il 30 giugno del 2026 tutte le società quotate in borsa dovranno rispettare i target fissati da questa normativa, pena una multa pecuniaria o l’annullamento delle nomine.
Le piccole e medie imprese con meno di 250 dipendenti sono escluse da questo obbligo ( la stragrande maggioranza in Italia!). La Consob una volta l’anno riceverà dalle società sottoposte a questa iniziativa tutte le informazioni sulla rappresentanza di genere nei loro consigli e sugli obiettivi che si intendono raggiungere. Ma perché sembra essere così importante avere le donne al potere? Perché sì, miei cari maschietti, noi ci stiamo dicendo proprio questo. Le donne al potere sono necessarie e, udite udite, sono anche brave!
“Avete voluto la parità di genere e adesso vi aggrappate alla Women on Boards”?
“Devono parlare le mie capacità, non il mio sesso!”
“Se introduciamo le quote rose, la meritocrazia non esisterà più!”
E così via. Ecco alcune delle frasi che sicuramente molte/molti hanno pensato quando martedì 7 giugno è stato dato l’ok alla normativa più volte citata nell’articolo. E sono tutte clamorosamente vere! Ma se, appunto, sono tutte clamorosamente vere, come mai esiste ancora il gender pay gap? Come mai le donne ai posti di potere sono ancora di numero così inferiore rispetto ai maschi in Italia? E soprattutto, perché non piacciano paradossalmente in primis alle donne? First of all, non piacciono perché ci servono a ricordare che effettivamente la disparità di sesso c’è, esiste ed è tangibile.
E qui non si tratta di meritocrazia. Secondo Almalaurea, la percentuale di donne laureate con percorsi di studi brillanti supera di gran lunga quella degli uomini. E per meritocrazia dovrebbero occupare loro tantissimi posti di potere nei CdA o nelle aziende ed invece no. Surclassate da colleghi maschi, magari con meno titoli, solo perché…maschi. Quindi, gentilmente, non parliamo di meritocrazia. Spingere sull’acceleratore per arrivare alla parità di genere non può far altro che bene visto che, secondo il World Economic Forum, ci vorranno cento anni prima di poterci arrivare! Quindi na spintarella con qualche normativa, tanto male non farà!
Sono stati condotti studi che hanno dimostrato che la presenza di donne sui posti di potere non solo non deteriora il gruppo ma migliora anche la qualità del lavoro svolto. Uno di questi è lo studio condotto da Sonia Falconieri e Chiara de Amicis della City’s Business School di Londra assieme a Moez Bennourti della Montpellier Business School. Questo studio ha valutato la “qualità” dei CdA con presenza di donne ed è emerso che la diversità è cruciale se si vuole raggiungere un successo duraturo.
Quindi, fatemi capire, cosa altro dobbiamo aspettare prima di renderci conto che gli uomini e le donne sono fatti per collaborare e non per farsi la guerra? La collaborazione porta a risultati inaspettati se solo si capisse che non è solo l’uomo che deve portare i soldi a casa e non è solo la donna che deve cucinare. I tempi di Tarzan e Cita sono belli che passati. E come diceva Aldo Carotenuto:
Il maschile, abituato da secoli a schiacciare il femminile per dimostrare a sé stesso il proprio potere, rimarrebbe letteralmente «spiazzato» nel momento in cui una donna dovesse dimostrargli non solo di trovarsi al suo stesso livello ma, addirittura, di avere molto da insegnargli.