Una delle critiche più forti all’universo delle criptovalute, e nello specifico al Bitcoin, è senz’altro legata al consumo di energia necessario per la produzione di questa valuta digitale. Un aspetto che ha inciso sotto numerosi punti di vista fino a questo momento. Chi è solito investire sul Bitcoin, infatti, ricorderà senz’altro le parole del fondatore del marchio Tesla, ovvero Elon Musk, che aveva deciso di non accettare più pagamenti in Bitcoin, facendone crollare il prezzo, da un momento all’altro proprio per l’alto tasso di inquinamento correlato.
Ebbene, pare che nel corso delle ultime settimane qualcosa stia per cambiare. L’associazione Greenpeace, infatti, ha dato il via a una nuova campagna, che prende il nome di “Change the Code, Not the Climate”. In sostanza, l’obiettivo è quello di fare in modo che i Bitcoin possano diventare finalmente meno impattanti sull’ambiente.
In che modo si potrebbe raggiungere tale obiettivo? Sembra che la chiave possa corrispondere alla modifica del sistema di validazione delle transazioni. Basti pensare come, al momento, i consumi energetici legati alla produzione di Bitcoin hanno raggiunto livelli pari rispetto a quelli di un intero Stato, come ad esempio la Grecia.
La rete di pazzeschi pc che permettono alla criptovaluta più famosa al mondo di esistere, consumano energia in grandissime quantità. I dati parlano chiaro: ogni anno, viene sfruttata più energia di Paesi come la Svezia oppure l’Argentina. Un altro problema è legato alle fonti che vengono usate per ottenere l’energia, che sono per il 60% di derivazione fossile. Quindi, un vero e proprio disastro ambientale.
Sono proprio queste le ragioni che hanno spinto Greenpeace e altre associazioni di stampo ambientalistico a proporre una nuova campagna. L’obiettivo di quest’ultima è chiedere che i Bitcoin diventino finalmente una valuta digitale meno inquinante e, di conseguenza, molto meno impattante sull’ambiente.
La richiesta di questa nuova campagna di Greenpeace è quello di provare ad apportare dei cambiamenti al software che rappresenta la base di Bitcoin. Certo, non si tratta dell’unica richiesta che è arrivata negli ultimi tempi in tal senso.
Sono tantissime le parti in causa che stanno chiedendo a gran voce di abbassare i consumi di energia e l’impatto sull’ambiente di tutto il sistema che permette la produzione di Bitcoin. Anche per via del fatto che, guarda guarda, delle strade alternative ci sono e non sono nemmeno campate così tanto per aria.
La richiesta di Greenpeace, d’altro canto, è ben specifica. Infatti, si chiede di apportare delle modifiche al codice del software architrave dell’intero ecosistema della moneta digitale più famosa in tutto il pianeta. In che modo cambiarlo? Optando per un sistema di validazione della blockchain che punti a diminuire i consumi di energia.
Tra le varie opzioni su cui si può puntare troviamo senz’altro quello di provare un sistema differente rispetto al “proof-of-word” che viene impiegato oggigiorno dal Bitcoin. In questo caso, l’alternativa ha una denominazione ben precisa: si tratta del “proof-of-stake” ed è un approccio già impiegato da valute digitali meno conosciute. Tra l’altro, si tratta di un sistema su cui a breve comincerà a puntare anche la seconda criptovaluta più famosa in tutto il mondo, ovvero Ethereum.
Nell’approccio “proof-of-stake”, infatti, al posto che individuare la soluzione di complicati rompicapi, si va a “battagliare” in una riffa. I miner, infatti, sono chiamati a investire delle criptomonete per provvedere all’acquisto di ticket virtuali. Chi vince ottiene un riconoscimento in criptomonete ricevere il rimborso per l’investimento che è stato messo in atto per prendere parte alla riffa. Grazie a un sistema del genere, l’inquinamento si riduce in maniera imponente, così come i consumi di energia dei Bitcoin.