Il movimento del reshoring è antitetico rispetto al più conosciuto offshoring. La sua nascita è figlia dei problemi della delocalizzazione e di come essa adesso produca spesso effetti indesiderati. Pertanto, temporalmente nasce sicuramente dopo l’offshoring ma ormai sono da considerare in parallelo.
A seguito delle delocalizzazioni attuate in passato, come consuetudine ogni azienda interessata ha monitorato l’andamento dei costi-benefici di tale strategia e, le più attente, l’hanno posta sempre in discussione. Sono molte le problematiche che possono inficiare il pieno successo di una strategia di offshoring, che per definizione è una tematica complessa, che spazia su macro-settori globali (economia, finanza, materie prime, logistica, trasporti, geopolitica, politica, risvolti sociali, ecc.).
Una cattiva gestione aziendale di questa fase delicatissima dell’impresa spesso è la principale causa del fallimento della delocalizzazione, in quanto in assenza di un management esperto, preparato e coraggioso, molti aspetti sono sottovalutati o addirittura nemmeno considerati.
La fase di monitoraggio continuo è determinante, anche per valutare il lato esogeno all’impresa. Ci possono essere fattori non dipendenti dall’azienda stessa che possono essere mutati dall’inizio della delocalizzazione. Ad esempio, in molti settori c’è una sempre più stringente attenzione ai requisiti di qualità che nei casi di offshoring, a causa di lontananza e di ovvie difficoltà manageriali, sono più difficilmente conseguibili. In molti settori quindi, quality control e quality assurance sono risultati sempre più determinanti. Inoltre, l’assenza di un controllo diretto e più stringente può anche essere concausa a scandali mediatici e quindi danni all’immagine dell’azienda (celebri i casi LEGO e Nike).
In particolare, l’offshoring era motivato come delocalizzazione di alcune attività (quelle meno strategiche) all’estero, in Paesi che avessero costi (come la manodopera ad esempio) molto più bassi. Alcuni di questi Paesi però, nel tempo sono progressivamente migliorati abbandonando l’etichetta di Paesi sottosviluppati per diventare Paesi emergenti o in via di sviluppo. Sono proprio loro le nazioni che riescono a crescere di più anno dopo anno, il che porta ad un progressivo miglioramento anche del tessuto sociale, quindi costi e salari più alti in scia ai Paesi occidentali. Quindi, il delta tra la differenza dei costi in patria e nel Paese in oggetto è andato via via a ridursi, annullando il vantaggio cardine della delocalizzazione.
Pertanto, molte imprese hanno deciso di attuare la strategia inversa alla delocalizzazione, rilocalizzando in patria le proprie attività. La Grande Recessione tra il 2007 e il 2012 ha fatto da incentivo a questo fenomeno in quanto colpì tantissimo USA ed Europa, molto meno i Paesi in via di sviluppo. Nei tempi più recenti, inoltre, anche la pandemia ha spinto in questa direzione. Molte imprese hanno avuto enormi difficoltà in quanto nella loro terra natia la situazione epidemiologica era sotto controllo (quindi anche in termini di domanda di mercato) mentre la nazione ospitante il sito di produzione magari era in sofferenza o addirittura in completo lockdown. Situazioni analoghe si stanno vivendo adesso, con molte aziende in fuga dalla Russia.
Le principali ragioni che hanno portato i diversi manager a riportare in Patria le fasi produttive sono diverse, ma spesso tutte presenti simultaneamente. Il reshoring consente di raggiungere i massimi standard di qualità dell’impresa, la quale così riesce sulla carta ad operare al massimo delle proprie potenzialità. Il tutto avviene poiché si riesce ad attuare un controllo più diretto e soprattutto reattivo. Così facendo si può reagire più facilmente, con meno vincoli, e più velocemente alle contrazioni o espansioni del mercato (aspetto decisivo per le aziende che lavorano con le innovazioni).
I vantaggi della delocalizzazione si sono ridotti perché sull’altro piatto della bilancia si sono affermate moderni approcci di gestione della catena di fornitura. La Lean Manufacturing e la logica del just-in-time hanno ridotto sensibilmente gli sprechi lungo la supply chain senza intaccare la qualità del prodotto finale. Pertanto, si è riusciti a ridurre il costo di produzione anche in Patria.
Infine, il reshoring svolge una presa anche sull’opinione pubblica. Non si cerca più di vendere “solo” il miglior prodotto al prezzo più basso al cliente. Oltre a questi due aspetti, è spesso rimarcato il cosiddetto effetto made in. Sottolineando la produzione nella propria nazione, il cliente ha la percezione di acquistare il miglior prodotto, al prezzo più basso, e che è stato prodotto da suoi connazionali, nel territorio nazionale, che inconsciamente gli suggerisce una maggiore qualità e affidabilità di prodotto e azienda.
Molti governi, sfruttando questa percezione, hanno creato leggi ad hoc per incentivare il ritorno della produzione, con l’idea quindi di aumentare benessere sociale e posti di lavoro. Aspetti peraltro spesso rimarcati sull’opinione pubblica anche durante le campagne elettorali. Risulta prevedibile come, aumentando il proprio peso e consenso sulla popolazione, incentivi e agevolazioni fiscali in tale ambito risulteranno essere sempre più presenti nel dibattito quotidiano.