In data 25 novembre ricorre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ma quanto può risultare corretto indire una giornata per ricordare ciò che dovrebbe essere insito nell’animo umano? Quanto è corretto ricordare che esiste la parità tra uomo e donna e che quest’ultima non deve essere vittima di alcun tipo di violenza? C’è davvero bisogno di ricorrere a stratagemmi quali dedicarvi una giornata per ricordare che ciò non dovrebbe accadere? I numeri parlano, quindi a quanto pare sì.
Quasi il 32% delle donne in età compresa tra i 16 ed i 70 anni ha subito una qualsivoglia forma di violenza sia essa fisica, sessuale o verbale. Il 20,2 % ha subito una violenza fisica mentre i 21% una sessuale. Di questa percentuale, il 5,4%, ha subito uno stupro o un tentato stupro. La maggior parte delle donne che ha subito violenza, l’ha subita dal partner. Questa è la ragione principale per la quale il 41,7% ha deciso di interrompere la relazione. Il 24,7% delle donne ha subito violenza da uomini non partner. Il 2,5% da colleghi di lavoro.
Quindi è vero, i numeri parlano ma ciò che bisognerebbe chiedersi è perché avvengono queste violenze. Perché un giorno un uomo si sveglia e decide di picchiare la propria donna? Per quale motivo, mentre litigano, decide di tirarle un pugno invece di parlare come fanno tutte le persone normali? Perché crede di avere il diritto di toccare una donna, solo perché è donna? Come si può eliminare definitivamente la violenza sulle donne portando ad un livello di parità con l’altro sesso?
Non c’è solo la violenza fisica. Molte donne sono vittime di una forma altrettanto grave di violenza: quella psicologica che mira a fare in modo che non ci sia parità con l’altro sesso. Mira a far si che la donna si sottovaluti.
L’ obiettivo è solo uno: controllarla. Molto spesso la violenza psicologica si esplica sotto forma di denigrazione. Si maltratta una donna puntando alla sua autostima. Ed un po’ come la goccia che scava la pietra, si arriva al punto in cui lei inizia a credere di non valere davvero nulla come donna, come madre e come lavoratrice.
Una forma di violenza psicologica è la discriminazione che le donne subiscono nel mondo lavorativo, proprio perchè non c’è la concezione di parità con i colleghi maschi. “Ah, sei donna? Questo è un lavoro da uomini!” oppure “Guarda che quell’attrezzo pesa, non dovresti usarlo tu. Sei donna!” o ancora “E’ un pezzo grosso ormai. Chissà a chi l’ha data!”. Queste sono alcune delle frasi discriminatorie che sicuramente, una volta nella vita, una donna si è sentita rivolgere sul proprio luogo di lavoro.
Le discriminazioni limitano le opportunità e sprecano il talento, soprattutto quelle delle donne. Nonostante si stia cercando di ridurlo, il divario tra i sessi nel mondo del lavoro c’è e non è minimo. Secondo stime recenti da parte dell’OIL, è ancora lontano il raggiungimento da parte delle donne dell’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro. Molto spesso sono relegate in lavori poco qualificati per le loro competenze e sono retribuite meno rispetto ai propri colleghi maschi. La parità di genere, legata alla giustizia sociale, è uno dei punti chiavi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. Tutto ciò può rappresentare una importante opportunità per raggiungere l’uguaglianza di genere.
Numerosi sono gli studi che dimostrano quanto sia importante il ruolo della donna nell’ambito economico, finanziario e sociale e che impatto importante abbia per quanto riguarda la crescita del Paese. Le leggi esistenti nel Bel Paese, dovrebbero garantire una sostanziale parità giuridica e retributiva tra uomo e donna ma si sa, la legge da sola non basta e la teoria non sempre è seguita dalla pratica.
In Italia ci sono problemi di natura strutturale, nonostante le donne molto spesso superino gli uomini sia in formazione scolastica che preparazione universitaria. Ma la crisi ha colpito duramente il gentil sesso che pur di portare a casa un salario, ha accettato lavori sotto stipendiati cercando di conciliare il lavoro con la famiglia.
La disparità nel mondo lavorativo c’è ed è palpabile ma per una donna che non riesce ad eguagliare il proprio collega uomo, ce n’è un’altra che lo asfalta. Prendiamo ad esempio Elisabetta Franchi. La stilista è stata incoronata “Imprenditrice dell’anno” vincendo il Premio EY per essere la fondatrice e l’amministratrice unica dell’omonimo brand. Questo premio è riservato agli imprenditori italiani che guidano aziende con un fatturato di almeno 25 milioni di euro e che quindi abbiano apportato valore aggiunto al nostro paese.
Ma non è l’unica. Maria Bianchi Prada è riuscita a trasformare il negozio di famiglia in uno dei marchi di alta moda italiani più importanti al mondo. Nel 2018 è stata inserita da Forbes tra le donne più ricche al mondo con un patrimonio pari ad 4,8 miliardi di dollari. Per non dimenticare Emma Marcegaglia che 2008 assume il comando di Confindustria così da raggiungere 2 primati. Non solo la prima donna a ricoprire questo ruolo ma anche e soprattutto la più giovane. Adesso è al comando dell’ENI.Per le più giovani, sicuramente va annoverata Chiara Ferragni che sta avendo una crescita esponenziale grazie non sono ai social, ma anche al marchio creato nel 2009, The Blonde Salad. La Ferragni guadagna 15 milioni di euro l’anno.
Quindi sì, è vero. La donna non ha ancora raggiunto il livello lavorativo dell’uomo ma è anche vero che quando lo fa, lo schiaccia. E di esempi di pioniere ne è pieno il Paese, come abbiamo potuto vedere. Perché nonostante la discriminazione, nonostante le continue violenze, nonostante lo stipendio che non è mai abbastanza, nonostante lo stare dietro alla famiglia, al marito, al lavoro, la donna è donna e per citare una frase di un poeta conosciuto
“In piedi,
in piedi, signori, davanti a una Donna”
William Shakespeare