AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario a cui aderiscono 76 Atenei italiani e il Ministero dell’Università e della Ricerca, e che si occupa di analizzare il mondo universitario italiano, ha pubblicato la XXIII Indagine sulla condizione occupazionale dei laureati. L’output della ricerca è un prospetto sul settore universitario italiano nel 2020 e un’analisi delle lauree che garantiscono una maggiore possibilità di entrare nel mondo del lavoro, oltre a maggiori remunerazioni.
Com’è noto, le condizioni in cui versano le università italiane non sono le migliori. Da una parte la formazione degli universitari italiani è ottima, soprattutto per quanto riguarda la teoria. Dall’altra, tuttavia, in molti (troppi) casi i laureati italiani si ritrovano a svolgere mansioni totalmente diverse rispetto a ciò per cui hanno studiato o a cui sono più appassionati. Questo è evidente soprattutto nel caso delle materie umanistiche, dove i laureati faticano sia a trovare lavori adeguati alla loro formazione, sia a ottenere paghe accettabili. Il rapporto di AlmaLaurea mira ad analizzare il tasso di occupazione dei laureati italiani e anche i salari che percepiscono in media.
Lo studio ha coinvolto 655.000 laureati provenienti dalle 76 istituzioni accademiche che fanno parte del Consorzio. Il campione è così suddiviso:
I laureati coinvolti nell’indagine costituiscono circa il 90% di tutti i laureati degli Atenei italiani.
Tra gli effetti principali della pandemia c’è un rallentamento dell’ingresso dei neolaureati nel mercato del lavoro nel 2020, ma fortunatamente gli effetti nel medio-lungo periodo sono marginali.
Il tasso di occupazione tra i laureati di primo livello è al 69,2%, mentre per quelli magistrali si attesta al 68,1%. L’occupazione rispetto all’anno precedente è diminuita del 4,9% per i laureati triennali e del 3,6% per i laureati magistrali. Purtroppo, l’occupazione femminile, già più bassa di quella maschile, ha subìto il calo maggiore. Geograficamente parlando, invece, i laureati del Centro-Nord hanno accusato maggiormente gli effetti della pandemia, rispetto a quelli del Sud.
Inoltre, è aumentato anche il numero di lavoratori a tempo determinato e in generale il cosiddetto “lavoro non standard”.
Anche l’utilizzo del lavoro agile, volgarmente chiamato smart working, ha subìto un notevole incremento. Complessivamente ha riguardato il 19,8% dei laureati triennali e il 37% dei laureati magistrali nel 2020.
Per quanto riguarda il tasso di occupazione a cinque anni dalla laurea, i valori più elevati sono relativi al gruppo Informatica e tecnologie ICT (Information and Communications Technology) e Ingegneria Industriale e dell’Informazione, pari al 97,2% e 96,4% rispettivamente. Chiudono la classifica le lauree del gruppo Letterario-umanistico (77,8%) e del gruppo Arte e design con un modesto 76,6%.
La retribuzione netta a un anno dalla laurea è aumentata ed è pari a 1270 euro al mese (+5,4%) per i laureati di primo livello e di 1364 euro (+6,4%) per i laureati di secondo livello. Come al solito ci sono delle notevoli differenze tra i diversi tipi di laurea. A cinque anni dalla laurea, i titoli più penalizzati sono quelli relativi ai settori umanistici, all’ambito psicologico e dell’educazione. Quelli più redditizi sono relativi ai settori dell’Informatica e ICT (1841 euro), Ingegneria Industriale e dell’Informazione (1837 euro), e all’ambito economico (1644 euro).
Le cifre riportate nelle tabelle sono relative al tasso di occupazione e alle retribuzioni a cinque anni dalla laurea, ma riflettono la situazione anche nel breve periodo.
In ogni caso è evidente che le lauree relative alle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) garantiscono una maggiore possibilità di trovare lavoro nell’immediato e con remunerazioni decisamente superiori alla media italiana, sebbene rimangano decisamente basse rispetto agli altri Paesi europei.