In tempo di pandemia, si sa, non è molto semplice concentrarsi sugli effetti “positivi” della stessa, poiché milioni di morti (più di tre milioni e seicentomila ad oggi, in termini di popolazione mondiale, fonte: https://gisanddata.maps.arcgis.com/), decine di milioni di posti di lavoro bruciati ed interi settori industriali e dei servizi fortemente depressi (basti pensare al settore turistico-alberghiero o, più in generale, al terzo settore) costituiscono un contorno piuttosto macabro e desolante.
Seppur con l’aspetto di un effetto collaterale dovuto al diffondersi della pandemia e, di conseguenza, delle restrizioni e lockdown, il fatto di aver registrato un significativo crollo delle emissioni di CO2 costituisce senza dubbio un motivo di riflessione circa la direzione verso cui il mondo civilizzato sta andando.
Uno studio di Liu, Z., Ciais, P., Deng, Z. et al. “Near-real-time monitoring of global CO2 emissions reveals the effects of the COVID-19 pandemic.” Nat Commun 11, 5172 (2020) prova a mettere ordine ed esplicitare come le attività umane e la loro sospensione abbiano un impatto significativo e tangibile sulla quantità di diossido di carbonio emesso. In tale studio si mette in luce come durante il periodo preso in considerazione, ovvero dal 1 gennaio 2020 al 1 luglio 2020, la diminuzione di CO2 in termini globali ammonti ad un netto 8,8% in meno (corrispondente a 1551 Mt) confrontato rispetto allo stesso periodo del 2019: per comprendere meglio questo dato bisogna precisare che tale diminuzione è la maggiore mai registrata in quanto supera anche quella dovuta a qualsiasi recessione economica e risulta maggiore anche rispetto al crollo registrato durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il metodo di monitoraggio, in sostanza, ha tenuto conto di diversi cofattori: la produzione (in conseguenza alla domanda) di energia elettrica di 31 paesi, il traffico veicolare in 416 città sparse nel mondo, numero di passeggeri per volo e distanza percorsa, produzione mensile industriale di 62 paesi, dati sul consumo di carburante combinati a informazioni sul clima che impattano sulle emissioni attribuibili a edifici residenziali e commerciali di 206 paesi.
Bisogna sottolineare il fatto che già nel periodo del 2020 precedente ai vari lockdown si stava registrando una diminuzione delle emissioni dovuta ad una stagione insolitamente mite nell’emisfero boreale: per rendere il dato sulla diminuzione dovuta alla sola pandemia da COVID19 più affidabile è stato necessario tenere in considerazione tale evento, rimuovendo la variazione di CO2 dovuta alla differenza di temperatura tra il 2019 e il 2020 (richiedendo, quindi, un minor impego di energia per il riscaldamento) per il trimestre gennaio-marzo. Il risultato preliminare ha attribuito l’85% della diminuzione di CO2 alla pandemia e il restante dovuto al clima mite. Inoltre, il dato totale considera anche l’emissione dovuta alla produzione del cemento.
Disaggregando il dato sulle emissioni possiamo valutare in quali settori si sono registrate le maggiori diminuzioni:
I crolli più significativi sono stati quelli avvenuti negli Usa (-13,3% ovvero 338,3 Mt in meno) e nell’UE&UK (-12,7% pari a 205,7 Mt), seguite dai giganti asiatici India (-15,4%, 205,2 Mt) e Cina (-3,7% ovvero 187,2 Mt). A parte la Cina, il cui picco si è registrato a febbraio, nei paesi già menzionati il picco si è registrato nei mesi di aprile e maggio (in linea con il diffondersi della pandemia):
APRILE | MAGGIO | |
USA | -25,4% | -26,4% |
UE + UK | -26,3% | -21,6% |
INDIA | -44,2% | -27,6% |
Le variazioni avute sono compatibili con l’applicazione delle norme restrittive ed allo stesso modo con diminuzioni relative rispetto allo stesso periodo del 2019 sempre meno marcate a mano a mano che tali norme andavano ad esaurimento.
Per meglio comprendere l’impatto delle attività umane sulla quantità di emissioni risulta utile esaminare l’andamento temporale circa la variazione di tali emissioni una volta che le norme restrittive vengono rilassate. Prendendo in esame la Cina si può notare che, a seguito della forte diminuzione (-18,4% per il mese di febbraio, -9,2% marzo), si è registrato un recupero ed un aumento (+0,6% nel mese di aprile e +5,4% a maggio) delle emissioni di CO2.
Tuttavia, negli altri paesi non si è registrato un incremento come quello cinese, come si può ben vedere nei grafici seguenti:
Il modello utilizzato però, non predice gli effetti della pandemia sul medio e lungo periodo, poiché esso dipenderà strettamente dalla persistenza della stessa e dalle norme adottate per respingerla.
Tuttavia, il modello ha chiaramente dimostrato come l’attività umana abbia un impatto massivo sulle emissioni di CO2. Se vogliamo che alla fine della pandemia il suo lascito non sia solo una ferita composta da tanti morti, famiglie devastate, economie al collasso, dobbiamo fare tesoro dall’esperienza che abbiamo accumulato in questi mesi: se risulta impossibile spostare verso lo smartworking lavori come, per esempio, l’allevamento, d’altro canto decine o centinaia di migliaia di lavoratori hanno potuto proseguire nella propria attività avvalendosi di questo prezioso strumento, contribuendo alla diminuzione di emissioni senza rinunciare ad essere produttivi. Il lascito di questa tragedia (a parte l’assaggio di restrizioni e lockdown) fa capire che le grandi battaglie, che siano i cambiamenti climatici o una pandemia, si combattono insieme, come umani.