Fin dall’antichità, il commercio marittimo e fluviale è stato il motore principale dello scambio di conoscenze, di progresso e di ricchezza. Tutt’oggi, gli stati che dispongono di corsi d’acqua navigabili o dell’accesso ad uno o più mari, godono di un enorme vantaggio economico. Il commercio navale è infatti di gran lunga il metodo più economico per scambiare merci.
I paesi del mediterraneo, per esempio, hanno sempre dovuto parte della loro ricchezza alla loro posizione privilegiata in quello che fu il “mare nostrum”. Principale crocevia di merci fin dall’epoca classica, il Mediterraneo ha via via perso rilevanza a seguito della scoperta dell’America e allo spostamento dei maggiori traffici commerciali nell’oceano Atlantico. Tuttavia, nel 1869, l’apertura del Canale di Suez ha ridato rilevanza al nostro mare, rendendolo il canale principale per il trasporto delle merci provenienti dall’Asia.
Per capire l’importanza del trasporto marittimo nelle nostre economie, dobbiamo pensare che circa il 90% del volume mondiale delle merci transita via mare. La maggior parte di questi volumi si spostano nelle rotte transpacifiche, transatlantiche e nella rotta passante per il canale di Suez che collega il sud est asiatico all’Europa. Queste rotte sono composte da corridoi marittimi larghi un paio di kilometri, che transitano per alcuni passaggi obbligati, detti “chokepoint”, come il canale di Panama o lo stretto di Gibilterra.
Il libero passaggio in questi stretti, è regolato dalle leggi internazionali, e se per qualche ragione dovessero essere chiusi militarmente, il danno economico risultante sarebbe enorme. Nella tabella sottostante, sono riportati i volumi di traffico marittimo per i principali stretti:
Stretto di Malacca | 59.4 milioni TEU |
Stretto di Hormuz | 30.2 milioni TEU |
Canale di Suez | 15.6 milioni TEU |
Stretto di Oresund | 22.2 milioni TEU |
Stretto di Gibilterra | 17.1 milioni TEU |
Canale di Panama | 11.7 milioni TEU |
Dove TEU (twenty foot equivalent unit) è la misura standard dei volumi del commercio intermodale, ossia la misura del volume di un container ISO.
L’Italia è lo stato leader nel trasporto marittimo a breve distanza nel Mediterraneo con 246 mln di tonnellate di merci trasportate per anno, e una quota di mercato del 39%. Sebbene i porti del nord Italia, in particolare Trieste e Genova siano di dimensioni e capacità maggiori, il mezzogiorno italiano è dotato di un sistema portuale di primo livello, che conta diversi porti multi-purpose e attira importanti investimenti stranieri. Complessivamente infatti, il 45% del traffico marittimo italiano è movimentato da porti del mezzogiorno, in particolare Cagliari, Augusta, Milazzo.
Per quanto riguarda i nostri principali partner commerciali, la Cina è il nostro maggior fornitore di merci, e rappresenta circa il 17% di tutto l’import via mare italiano. Al contrario, il primo paese acquirente di merci italiane via mare sono gli Stati Uniti, che assorbono il 23% dell’export totale.
Per rafforzare ulteriormente la nostra partnership commerciale con la Cina, il governo italiano ha firmato un trattato economico di intesa con il governo cinese, il Belt and Road Initiative. L’iniziativa è volta a migliorare i collegamenti Cina-Europa attraverso investimenti su rotte marittime e vie terrestri, e rappresenta un’opportunità per l’Italia di investire più agevolmente negli stati interessati dall’iniziativa, incrementare l’export del Made in Italy, ed infine facilitare gli investimenti diretti bidirezionali. Grazie all’integrazione del sistema produttivo italiano con la Germania, e alla sua posizione strategica al centro del mediterraneo, i porti italiani rappresentano un punto di contatto chiave negli scambi di merci sino-europei, e sono guardati con molto interesse dal gigante asiatico. Proprio per questo motivo, l’azienda cinese Cosco Shipping Ports, il maggior operatore al mondo di terminal marittimi, ha acquisito il 40% del terminal per container di Vado Ligure, capace di gestire carichi di navi di grande dimensione.
Già nel 1800, gli esploratori facevano a gara per navigare per primi la “rotta di nord est”, per tagliare drasticamente i tempi di spostamento tra il nord atlantico ed il nord pacifico. Assai nota è per esempio la vicenda dell’esploratore inglese Sir John Franklin, che nel 1845 perse la vita assieme a 129 membri del suo equipaggio poiché la loro imbarcazione rimase intrappolata tra i ghiacci artici.
Per molti anni a seguire, l’idea di navigare attraverso l’artico in maniera continuativa, senza l’ausilio di potenti rompighiaccio, è apparsa come un miraggio. Da allora tuttavia, molte cose sono cambiate e il riscaldamento climatico potrebbe aprire nuovi scenari del trasporto globale. Già oggi, lo scioglimento dei ghiacci del polo nord rende possibile il transito alle grandi navi cargo e militari per i quattro mesi estivi. Studi scientifici portano a concludere che all’attuale ritmo, entro il 2040 il ghiaccio artico si sarà ritirato a tal punto da rendere la rotta navigabile persino durante i mesi invernali.
Il cambio di rotta permetterà di accorciare di 13 giorni il tempo di navigazione tra il nord Europa e l’est asiatico, risparmiando enormemente in tempo e carburante. 13 giorni sono un’enormità se pensiamo che la rotta che passa attraverso il canale di Suez viene completata mediamente in 45 giorni, mentre la rotta artica in soli 38 giorni.
Lo scioglimento dei ghiacci inoltre rende sempre più conveniente lo sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche che essi celano. Per esempio, in Groenlandia si stanno scoprendo ricche risorse energetiche e terre rare. Maggiori saranno le risorse sfruttate e maggiore sarà il supporto marittimo necessario, aumentando ulteriormente il traffico ed il business nell’area.
Esattamente come l’innalzamento del livello del mare, anche l’apertura della rotta artica avrà impatti diversi sulle varie nazioni. Anche in questo caso, l’Italia sarà una delle nazioni economicamente più danneggiate in quanto perderà un notevole volume di merci asiatiche che attualmente transitano per i nostri porti e vengono successivamente distribuite su rotaie agli altri paesi dell’Europa centrale. Al contrario, paesi come il Canada e la Russia ne trarranno grandi benefici, potendo sfruttare aree di pesca e di estrazione di loro possesso (Zone Economiche Esclusive) ad oggi inaccessibili. Una ragione in più, per noi Italiani, ad impegnarci nel ridurre il nostro impatto climatico.
Articolo a cura di Saverio Bianco