Conti pubblici: aumento del rapporto deficit/pil secondo ISTAT

rapporto deficit/pil

Istat ha pubblicato i report inerenti al Conto delle Amministrazioni pubbliche e le stime relative alle famiglie e alle società. Nel terzo trimestre 2020 l’indebitamento netto delle AP in rapporto al PIL è stato pari al 9,4% (mentre nel 2019, nello stesso trimestre era al 2,2%).

Il saldo primario (indebitamento al netto degli interessi passivi) è negativo, con un’incidenza sul Pil del 5,9% (+1,0 nel terzo trimestre 2019). Il saldo corrente delle AP hanno registrato un’incidenza sul Pil del -3,7%. Per quanto riguarda la pressione fiscale, vi è stata un riduzione di 0,4 punti percentuali rispetto allo scorso anno raggiungendo quota 39,3%. Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato del 6,3% rispetto al trimestre precedente, mentre la spesa per consumi finali delle famiglie è cresciuta del 12,1%. Di conseguenza, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata pari al 14,6%, in diminuzione di 4,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente, ma in crescita di 6,5 punti rispetto al terzo trimestre del 2019.

Cos’è il rapporto deficit/Pil?

Per deficit intendiamo la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato. Quando queste ultime sono maggiori delle prime, parliamo di “disavanzo”. Si tratta quindi di quella quota di spese statali ( come ad esempio i costi della PA o delle pensioni) che non è coperta dalle entrate.

Questo dato viene messo in rapporto al Pil per capire la salute delle finanze pubbliche. In situazione pre-Covid, l’Unione Europea aveva stabilito un tetto massimo al deficit Questo per tenere i conti pubblici in ordine.

In questo rapporto bisogna considerare che il PIL è al denominatore e quindi, se spinto al rialzo dalla dalla necessità di chiedere soldi al mercato per distribuire risorse a famiglie e aziende, il Prodotto in contrazione rende ancor più difficile il mantenimento dell’equilibrio dei conti. Le previsioni parlano di una proiezione di tale rapporto oltre il 155% alla fine di quest’anno. Le agenzie di rating stanno facendo già i loro conti, come dimostrato da Fitch che ha tagliato a sorpresa il giudizio sull’Italia.

Queste revisioni possono generare tensioni sui mercati finanziari, in primo luogo sui Btp. Una diminuzione del loro valore ha impatti sia sui portafogli dei molti risparmiatori che li hanno acquistati in passato, sia sui bilanci delle banche che ne sono grandi detentori. Se il movimento diventa molto accentuato, queste possono incontrare maggiori difficoltà nella loro attività di erogazione del credito, potendo contare su patrimoni alle spalle meno solidi.

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Rapporto deficit/Pil in aumento: cosa comporta?

Che succede se il rapporto deficit/pil è troppo alto?

Ciò che a molti italiani non è chiaro è che il problema dell’aumento del deficit non riguarda le regole europee che si possono non rispettare senza gravi conseguenze. Aumentare il deficit, soprattutto per un Paese con un debito molto come l’Italia, vuol dire chiedere in prestito agli investitori altro denaro. Se la crescita del Paese interessato è anemica, potrebbe non attrarre tali investitori. Inizialmente, durante il Trattato di Maastricht, si era stabilito che il deficit sarebbe dovuto essere minore del 3% del Pil ed il debito pubblico non più alto del 60% rispetto al Prodotto Interno Lordo. Ma queste imposizioni non tenevano conto dei cicli economici.

In un momento di grande crescita del PIL (quando cioè le entrate statali dalle tasse sono molto alte, grazie ad attività economiche particolarmente efficaci e dinamiche) un paese potrebbe avere un rapporto deficit-PIL del 3 per cento.

Dato che però si parla di un rapporto, non appena l’economia dovesse crescere un po’ meno, si trasformerebbe in un deficit superiore ai parametri.

Per questo motivo, trattati e regolamenti europei hanno introdotto ulteriori parametri che tengono conto dei periodi di crescita e di recessione. Si è quindi stabilito che un Paese non può quindi avere un “deficit strutturale”, cioè il deficit aggiustato per il ciclo economico, più alto dell’uno per cento in rapporto al PIL.

Italia: aumento delle uscite correnti dalle casse dello Stato

Nel terzo trimestre è evidente il risultato delle misure del Governo utili ad arginare gli effetti della pandemia. In particolare, il terzo trimestre evidenzia un aumento delle uscite correnti del 5,3% frutto dell’incremento delle prestazioni sociali in denaro (+10,9%) a favore delle imprese.

Le entrate totali sono calate del 4,8% e la loro incidenza sul Pil è sta è stata del 43,7%, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo del 2019. Il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 6,3% rispetto al trimestre e la spesa per i consumi è aumentata del 12,1%. La propensione al risparmio, invece, è in diminuzione del 4,4% rispetto al trimestre precedente ma si nota un incremento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La crescita è di 6,5 punti percentuali.