Spesso sentiamo parlare di brand; ma cosa c’è dietro un marchio “top”? Principalmente: storia, garanzia, attrazione. La prima poiché ogni marchio ha una storia da raccontare e di cui farne il testimone. La seconda in quanto tra cliente e imprese si deve instaurare un rapporto basato sulla fiducia. Infine attrazione, un brand deve saper attrarre l’acquirente con due semplici strategie: diversificazione e differenziazione, creando valore.
A darci la classifica dei brand con più valore è Brand Finance. I valori sono ottenuti con un metodo che prevede una stima delle vendite future, calcolando il tasso di royalty attribuibile per l’uso del marchio se non si è proprietari. Stando a questi parametri, Gucci spicca su tutti con un rating AAA+: ampio mercato, commercio eccellente, strategie vincenti e capacità di influenzare le scelte dei consumatori. Da qui ovviamente, segue l’enorme fatturato e la particolare attenzione verso le cure dei dettagli del brand stesso.
Per quanto riguarda le macro cifre invece, in Italia il valore totale dei brand è di 143 miliardi, a differenza dei 108 in Spagna, 373 in Francia e 447 in Germania. “Il gap con Francia e Germania non dipende tanto dalla forza con la quale i brand influenzano le scelte dei consumatori, infatti Italia, Francia, Germania e Spagna sono sostanzialmente allineati, ma è dovuto soprattutto alla potenza di fuoco con cui le imprese di grandi dimensioni, rispetto a quelle di media dimensione, riescono a produrre valore” afferma David Haigh, ceo di Brand Finance.
Se Gucci è l’azienda con più valore, Ferrari invece è quella più forte e solida. Il nome della casa automobilistica di Maranello vale 8,2 miliardi di euro, ed ha un punteggio invece di 94/100 con rating AAA+. Si conferma pertanto, secondo Brand Finance, come brand più forte del mondo. Tutto questo, grazie a: gestione del marketing, valorizzazione del prodotto e ritorno commerciale.
L’impatto del Coronavirus sul valore dei marchi italiani, è dovuto in particolar modo sia all’impossibilità dei consumatori di spendere denaro, sia a quella delle aziende di produrre merce. Pertanto, l’immagine in sé e per sé non è stata indebolita. Le conseguenze della crisi però, non sono del tutto innocue. Il primo driver a subire cambiamenti è stato certamente il prezzo, a seguire poi: la ricerca di benefici maggiori per la collettività, attenzione all’ambiente e ancor di più alla sanificazione. Il principale allarme però, è che per ottimizzare il profitto tutte le imprese dovranno idealmente mettere in discussione la propria strategia di marca, che in alcuni casi si potrà rivelare adeguata ma in molte circostanze dovrà essere messa a punto o addirittura stravolta.