Il concetto di Piattaforma non è nuovo. Pensate ai vecchi mercati antichi o agli enormi centri commerciali o anche ai centri espositivi. Le imprese, in passato, hanno utilizzato per lo più un approccio “vis a vis” per consentire condivisione e facilitare gli scambi di valore. Oggi, le piattaforme sono sempre più supportate da tecnologie digitali che facilitano la partecipazione e la condivisione, al loro interno, tra numerosi utenti. Il valore duale è il punto chiave delle piattaforme digitali. Attraverso la condivisione di numerosi dati, la piattaforma crea valore aggiunto sia per gli utenti stessi che per i fornitori del servizio. Il dato assume quindi un ruolo di input che attraverso un elaborazione digitale, produce un prodotto (output) di valore per il consumatore finale (utente) e per il fornitore (provider).
Per “Platform Business” intendiamo un modello di business che si focalizza a facilitare le interazioni, sociali ed economiche, di un grosso numero di utenti o partecipanti.
Solitamente, la piattaforma è un modello di proprietà di una singola azienda che considera le reti come parte del contenuto del proprio modello di business. Il valore è quindi generato attraverso i cosiddetti principi di “network externalities “, attraverso cui, all’aumentare dei partecipanti, vi è un incremento, non sempre proporzionale, del valore della piattaforma.
Apparentemente, c’è un’accettazione dell’idea che il settore noto per la produzione di automobili sia in un processo di spostamento morfologico verso la mobilità intesa come servizio.
Si pensa che questo cambiamento abbia il potenziale per ridefinire il rapporto tra i costruttori di veicoli ed i loro clienti e quindi il futuro dell’automotive in generale. Queste nuove possibilità di mobilità personale possono assumere tre forme distinte di “auto-mobility-as-a-service” (AaaS):
L’attuale crisi della shared mobility (nelle diverse accezione, di car sharing, car pooling, ride sharing, ecc.) va imputata soprattutto alla riduzione della domanda di mobilità. Se questo è stato vero durante il lockdown, nella fase di ripresa c’è il timore che la shared mobility possa essere meno sicura. La diminuzione della domanda di servizi della shared economy potrebbe perdurare anche nei prossimi mesi. Secondo un’indagine condotta da Ipsos, un quarto degli utenti dell’economia della condivisione prevede di utilizzare questi servizi meno di prima.
A Roma l’uso del car sharing si è ridotto del 90% con l’emergenza coronavirus. Gli operatori per mantenere attivo il servizio devono sostenere ingenti costi variabili di manutenzione e sanificazione della flotta. Inoltre, i costi immobilizzati delle auto non utilizzate dagli utenti rappresentano una forte minaccia per gli operatori del servizio di CarSharing.
La mobilità condivisa deve reinventarsi in qualche modo per adattarsi alle prossime sfide derivanti da COVID-19. Gli operatori, gli sviluppatori di software, i produttori di veicoli e i servizi pubblici dovranno essere tutti creativi per trovare il modo di affrontare una vasta gamma di problemi sociali, tecnici e commerciali creati o esacerbati dalla pandemia.
Pre-COVID19, gli operatori della mobilità condivisa hanno lavorato principalmente nel loro interesse, gareggiando per ottenere quote di mercato; tuttavia, la crisi servirà probabilmente da catalizzatore per la trasformazione in corso del mercato, passando da partnership completamente private a partnership pubblico-private. Gli operatori potranno iniziare a lavorare fianco a fianco tra di loro attraverso collaborazioni garantite con le città usando processi di RFP. In Spagna, 17 operatori si sono uniti per creare Smart Mobility, un’organizzazione che lavora per garantire elevati standard socio-ambientali e facilita la collaborazione locale degli operatori di mobilità condivisa in tutto il paese.