Coniato negli anni ’80, il termine Servitization sta a indicare il passaggio dalla vendita del semplice prodotto all’integrazione di una serie di servizi al cliente. Escludendo i paesi in forte crescita ed in via di sviluppo, in cui c’è grande richiesta di prodotti di massa e a basso costo, nelle economie più avanzate i servizi offerti sono determinanti nell’accrescimento del valore dei prodotti e nel miglioramento dell’offerta, e così quello che si offre al cliente è una vera e propria soluzione volta a soddisfare uno specifico bisogno. Questa integrazione permette di creare un vantaggio competitivo durevole fidelizzando il cliente, differenziando l’offerta e generando flussi di ricavi costanti nel tempo.
Secondo Nicola Saccani, questo passaggio alla servitization avviene in quattro fasi: la prima è detta Product Focused, il modello industriale tradizionale incentrato sul prodotto e sul costo competitivo che offre solamente servizi di base come l’assistenza; la seconda è detta Product and Processes Focused, un evoluzione del primo modello in cui il prodotto è arricchito di servizi come la consulenza; la terza è Access Focused, un modello in cui la proprietà del bene non viene trasferita al cliente ma rimane al produttore che eroga un servizio di accesso al bene; l’ultima fase è Use or Outcome Focused, il caso tipico delle realtà di sharing economy in cui non è importante avere il bene in esclusiva per sé ma poterlo usare per i propri scopi pagando solo quando serve ed esclusivamente per il consumo effettivo.
Anche nel Bel Paese, le crescenti pressioni competitive hanno radicalmente mutato il contesto produttivo. Da un lato il fenomeno della globalizzazione ha portato alla riduzione dei margini e quindi alla necessità di ridurre i costi di sviluppo e produzione dei prodotti, dall’altro le aspettative dei clienti in termini di soluzione offerta continuano a crescere. Tuttavia, il tessuto imprenditoriale italiano è formato prevalentemente da piccole e medie imprese, il cui contesto organizzativo gestionale ed informativo può non essere pronto a sostenere una così imponente trasformazione.
Attualmente i ricavi delle aziende italiane sono generati principalmente dalla vendita dei prodotti (75%) e il contributo dei servizi è prevalentemente costituito da vendita di parti di ricambio e assistenza tecnica. I modelli di business orientati al servizio (noleggi, contratti di manutenzione, contratti pay-per-use) sono ad oggi una pratica quasi assente e complessivamente non generano più del 4% del fatturato. Inoltre i servizi maggiormente diffusi risultano essere quelli più tradizionali, come i contratti di manutenzione e i servizi volti all’ottimizzazione dei processi produttivi, e sono prevalentemente forniti su richiesta, mentre i servizi più avanzati, come la diagnosi remota, sono offerti solo sporadicamente.
La cultura del cliente risulta essere il principale ostacolo per lo sviluppo di un’offerta pay-per-use o di noleggio. La maggior parte dei clienti infatti basa la propria decisione sull’acquisto di un prodotto su performance attesa e prezzo non comprendendo ancora a fondo i vantaggi dei servizi e i costi relativi al ciclo di vita. E ciò implica anche un secondo ostacolo legato all’accesso dei dati da parte delle aziende produttrici: le informazioni maggiormente raccolte dalle aziende riguardato per lo più i dati di guasto, le ore di funzionamento e le attività svolte per la manutenzione del prodotto e sono ancora molto poche le aziende che si occupano della raccolta delle informazioni legate al real-time monitoring del prodotto e delle sue performance che sarebbero invece di vitale importanza per lo sviluppo di nuove offerte prodotto-servizio.
Le aziende italiane quindi sono ancora all’inizio del percorso di Servitization, seppur con qualche notevole eccezione. Ne riconoscono l’importanza e le potenzialità, tuttavia ad oggi vi è una scarsa adozione di modelli di business orientati al servizio piuttosto che al possesso del bene.
Articolo a cura di Klizia Urelli