Tutti sappiamo cos’è un incentivo, almeno in teoria. Ma come si formalizza in teoria economica? E quali condizioni deve soddisfare affinché sia efficace? Vediamo brevemente e qualitativamente i fondamenti.
Semplificando, si può dire che gli incentivi servono a risolvere il rapporto di agenzia, ovvero a fare in modo che l’agente effettui lo sforzo necessario al raggiungimento dell’obiettivo del principale. In parole povere, come nell’esperienza comune, i sistemi di incentivi all’interno dell’azienda, hanno lo scopo di allineare gli obiettivi dell’individuo a quelli dell’organizzazione. Il problema (post contrattuale) del rapporto di agenzia nasce dall’asimmetria informativa tra principale e agente: come può il principale (capo) assicurarsi che il comportamento dell’agente (sottoposto) sia quello in teoria più congruo al raggiungimento di un dato risultato? La risposta è che devono essere remunerati gli esiti del comportamento. Il risultato è influenzato dal comportamento dell’agente, ma non in maniera deterministica, pertanto allo sforzo voluto potrebbe non corrispondere l’esito sperato: si pone pertanto il problema dell’allocazione del rischio.
Il contratto deve remunerare l’agente almeno per lo sforzo e per il rischio che egli assume (vincolo di partecipazione); in genere questa è la quota fissa. Il contratto, inoltre, deve indurre l’agente a fare la scelta giusta, ovvero garantirgli che avrebbe una remunerazione maggiore nel caso in cui effettui uno sforzo maggiore (vincolo di compatibilità degli incentivi); questa in genere è la parte variabile.
K. Dixit e B. J. Nalebuff sostengono, in un capitolo di un famoso saggio, che tale formalizzazione degli incentivi può essere vista come un’applicazione diretta di casi di comportamento strategico (teoria dei giochi) [1]. In questo saggio gli autori non si limitano ad illustrare i piani di incentivazione lineari (remunerazione totalmente variabile, come nel caso di un venditore che prende solo provvigioni sulle vendite) e non lineari (quota fissa + quota legata ai risultati), ma illustrano qualitativamente diverse dimensioni dei piani di incentivazione introducendo incentivi non monetari quali la motivazione e le possibilità di carriera la motivazione. I due autori illustrano anche casi in cui gli incentivi hanno effetti più complessi, come i casi di incarichi multipli in cui un piano di incentivi per un incarico può portare ad un peggioramento dei risultati legati agli altri incarichi maggiori del miglioramento dei risultati legati al primo incarico, o la competizione tra lavoratori che può portare risultati negativi per l’organizzazione, oppure il caso di gerarchie con obbiettivi diversi tra i vari livelli. Questo filone di studi è ancora estremamente attuale: si pensi che il premio Nobel per l’economia del 2016 è stato assegnato a due economisti per i loro studi sulla teoria dei contratti e quello del 2017 è stato assegnato a R. Thaler per i suoi contributi allo studio dell’economia comportamentale (tra cui anche teorie che provano a superare le attuali teorie sugli incentivi).
Continua a seguirci per approfondimenti su questo affascinante campo.
Antonio Donadio