Roger Duguay è socio-dirigente e leader internazionale per il settore “CEO e consigli di amministrazione” di Boyden, una delle migliori aziende head-hunting di dirigenti. Egli utilizza i colloqui di lavoro per individuare candidati più adatti a ricoprire cariche manageriali, per coloro che siano sicuri di sé senza essere arroganti. Il suo modus operandi è il seguente: le qualifiche di carriera sono un prerequisito per avanzare allo step due della selezione (il colloquio), il quale è invece un’opportunità per valutare la personalità del candidato. Tale approccio alla ricerca dei migliori talenti ha avuto tanto successo che il CEO di Boyden lo ha appunto recentemente nominato leader dell’amministrazione globale del settore “CEO e dei consigli di amministrazione”.
Appare evidente la rottura rispetto alle job-interviews tradizionali. Solitamente, infatti, la maggior parte delle domande si concentrano sulle esperienze passate, ma a livello esecutivo la difficoltà dell’intervista si amplifica. Così ha dichiarato Duguay a Business Insider:
“Per me [il fatto] che abbia fatto un buon lavoro negli ultimi cinque, dieci anni non è più una garanzia del fatto che sarà un buon candidato da qui a due anni. Poiché il business in tutti i settori è cambiato così rapidamente negli ultimi anni, cerco piuttosto segnali del fatto che il candidato sia adattabile e curioso”.
Nel corso del tempo trascorso a Boyden, Duguay ha posto più di 100 persone in ruoli dirigenziali, presidenziali o direttivi sia nel settore privato che in quello pubblico, stimando di aver analizzato almeno 1.000 candidati. Quando cerca un amministratore delegato, tiene un colloquio di due ore con i suoi migliori profili. Vediamo alcune delle sue domande preferite.
Duguay non lo chiede necessariamente così direttamente, ma cerca di capire come sono i candidati al di fuori dell’ufficio. Vuole saper come trascorrono il fine settimana o quello che stanno leggendo. “Di solito finisco per fare molte più domande che mi raccontano dell’essere umano che c’è dietro a questa posizione lavorativa. Non quello che ha fatto e in quale università è stato.” Quando il Duguay sta intervistando qualcuno, le abilità richieste per il lavoro in questione sono un pre-requisito per essere presenti nella stanza.
“Se non è in grado di dirmi cinque o dieci grossi errori che ha fatto negli ultimi cinque anni, c’è qualcosa di veramente sbagliato”, afferma Duguay. A lui piace riferirsi a queste deviazioni come “cicatrici” e vuole che un potenziale leader sia trasparente riguardo ai propri sbagli, avendo tratto lezione da essi.
Anche se il ruolo di amministratore delegato richiede fiducia, occorre qualcuno che sia abbastanza umile da lavorare con un CDA e delegare responsabilità ai deputati. Quando Duguay ha avuto la possibilità di fare questa domanda a uno dei suoi eroi personali, il monaco buddista e collega del Dalai Lama Matthieu Ricard, quest’ultimo ha risposto con “Oh, forse sono a 4 su 10.” Un’ulteriore prova del fatto che un candidato ad un posto di lavoro che sorride e dà un “nove” non è una persona da prendere sul serio.
Duguay conserva questa domanda per la fine, e ha detto che spesso paralizza i candidati. “Ora posso leggere nei loro occhi ‘Oh, cosa faccio, gli dico la verità, perché forse lui non lo sa? Quei due difetti – che so davvero di avere – glie li dico o no? E se poi li aggiunge alla lista di miei difetti che ha già fatto lui?… O mi gioco quella risposta?’”. Chiaramente Duguay non sta cercando una risposta del tipo “Il mio più grande difetto è che lavoro troppo duro” – e circa la metà delle persone che intervista danno una risposta simile. Vuole trovare qualcuno che sia sicuro di sé al punto da aprirsi in un momento di vulnerabilità, piuttosto che rendere l’intero colloquio di due ore una dimostrazione di spavalderia. Vuole trovare qualcuno a proprio agio con ciò che è, e se quella personalità si adatta anche a ciò di cui l’azienda ha bisogno, allora finirà con avere il posto. Aggiunge:
“Penso che la chiave di questa vita sia essere lo stesso essere umano con i tuoi partner nella vita e con quelli con cui lavori, altrimenti non sei autentico, stai cercando di fare un gioco per compiacere i tuoi colleghi. Quindi queste sono le domande che mi piace porre e pochissime persone rispondono in modo appropriato: la gente non conosce se’ stessa.“