Il disastro Alitalia sembra non avere fine, più passa il tempo e più l’azienda perde soldi, e sulle offerte per l’acquisto della compagnia c’è poca chiarezza: le uniche pervenute arrivano da Ferrovie dello Stato, Easyjet e Delta. Sono molti però i nodi da sciogliere in quanto FS non fa parte del settore aereo, Easyjet si occupa solo di voli a corto raggio e Delta non potrebbe coprire più del 49% non essendo una compagnia europea.
Intanto l’azienda sopravvive grazie al prestito ponte da 900 milioni di euro che però è in scadenza il 15 Dicembre e se in quella data non ci sarà una soluzione sul tavolo, non potrà che essere prolungato.
Siamo ormai al terzo salvataggio di Alitalia in 10 anni, e in un mercato che negli ultimi 20 anni è passato da 50 milioni di passeggeri a 144 milioni, con un incremento quindi del 180%, la colpa non può che essere attribuita a piani industriali sbagliati e incapacità di gestire i costi.
L’errore più grande, a detta di esperti del mercato, è stato quello di indebolire il lungo raggio mentre tutti i principali vettori europei tradizionali lo hanno rinforzato, e consentire l’ingresso sregolato alle compagnie low cost. Mentre infatti in altre nazioni queste compagnie sono state scoraggiate, non concedendo l’utilizzo di molti degli aeroporti più importanti, l’Italia è il paese in cui le low cost hanno le più alte quote di mercato: si crea quindi in questo modo una concorrenza ovviamente difficile da gestire per una compagnia tradizionale.
Nel 2015 Etihad con 387 milioni di euro compra il 49% della società, annunciando di puntare al massimo sul lungo raggio e di aumentare la flotta, salvo poi vendere 21 aerei passando da 139 a 118 velivoli, e in due anni e mezzo la compagnia atterra in emergenza. Sono infatti numeri nemmeno lontanamente paragonabili a quelli delle grandi compagnie del mondo, come Delta con una flotta composta da più di 1000 aerei, o Lufthansa con più di 700. Sulla gestione di questi anni attualmente sta indagando la magistratura con accusa di bancarotta fraudolenta, date le varie voci poco chiare della gestione araba terminata a Febbraio 2017.
A maggio dello stesso anno interviene ancora una volta lo stato, commissariando l’azienda per risanarla e poi metterla sul mercato. Vengono effettuati vari tagli e rinegoziati molti contratti come ad esempio quelli di leasing, risparmiando il 23% a Settembre 2018 rispetto a Gennaio 2017. Viene cambiato il fornitore di catering, risparmiando un ulteriore 10%, tagliato il numero di dirigenti e viene rinforzato nuovamente il settore cargo aumentando il traffico di circa il 10%.
Tra le operazioni più importanti quella di riportare all’interno la manutenzione pesante, precedentemente affidata forzatamente all’israeliana Bedek. Viene migliorato notevolmente l’handling, riducendo drasticamente il numero di bagagli persi e oggi Alitalia conquista il secondo posto per puntualità in arrivo a livello europeo: i ricavi salgono del 7% e le perdite diminuiscono di circa l’80%.
I dipendenti sono 11600, di cui 1600 in cassa integrazione, e i costi sono in linea con le altre compagnie europee. La scelta ora è tra vendere e rilanciare.
Per rilanciare servono 2 miliardi di euro e l’attore principale messo in campo dal governo è Ferrovie dello Stato, al quale però necessita per forza di cose un partner tecnico; di certo, dando un rapido sguardo all’andamento del mercato del trasporto aereo, è chiaro che avere una compagnia di bandiera ben gestita converrebbe di certo: basta pensare che le previsioni della IATA (International Air Transport Association) dicono che nei prossimi 15 anni ci sarà una crescita del mercato del 30%.
A cura di Raffaele Di Nardo