Big data ovvero “grandi dati” è il termine usato per indicare la massa di dati che oggi si è in grado di raccogliere, raggruppare e analizzare, con lo scopo principale di scoprire legami tra fenomeni diversi e prevedere i fenomeni futuri.
Si può distinguere tra diversi tipi di big data: ci sono quelli “volontari” come gli hobbies, gli interessi personali le preferenze e le competenze che spesso sui social networks si dichiara di avere, ci sono i big data “evidenti” come le abitudini d’acquisto, ed infine i big data “dedotti” come le valutazioni sul reddito, la costruzione di un profilo in base alle attività online, ecc.
La prima fase del processo di analisi dei Big data è il processo di raccolta dati che avviene tramite i blog, i social networks, i contenuti generati dall’utente, i programmi di fidelizzazione gestiti dai rivenditori, gli elettrodomestici “intelligenti”, le app, i sensori, ecc. Dopodiché subentra la fase di archiviazione e aggregazione che avviene tramite, per esempio, i fornitori di telefonia, le agenzie governative (ufficio tasse, registri di proprietà), i social networks, le istituzioni finanziarie, i fornitori di servizi, i rivenditori. Fase intermedia è quella di analisi e distribuzione gestita dai rivenditori, fornitori di servizi, pubblica amministrazione, istituzioni finanziarie, fornitori di servizi sanitari, aziende specializzate coinvolte in ricerche di mercato e pubblicità, analisti e brokers. Ed infine l’utilizzo: tali informazioni, raccolte e rielaborate, vengono usate, per esempio, per “profilare” il consumatore, ovvero, per capire con quante diverse “tipologie” di consumatore un’impresa deve misurarsi e per proporgli infine prodotti e servizi su misura. Gli utenti finali di tali dati sono le aziende, il settore pubblico e i governi.
Uno dei modi in cui vengono sfruttati i dati, per esempio nel commercio online, è la pratica della personalizzazione dei prezzi. Tramite i “prezzi individuali” le imprese praticano la cosiddetta discriminazione di primo grado e tramite i “prezzi di gruppo”, la discriminazione di secondo grado, indirizzata a piccoli gruppi mirati di consumatori con uguali caratteristiche. Un modo indiretto per personalizzare i prezzi sono poi gli “sconti personalizzati”. Altra tecnica con cui le imprese cercano di estrarre maggior surplus dal consumatore è la “targeted advertising” ovvero la pubblicità mirata. Quest’ultima si rivela spesso un elemento fondamentale per alcuni modelli di business nei mercati digitali e consiste nella pubblicazione, da parte delle aziende, di annunci indirizzati a un pubblico specifico in base alle sue caratteristiche e ai suoi interessi personali.
Tuttavia, una struttura di prezzo molto complessa rischia di generare obfuscation ovvero di far diminuire la pressione competitiva e far aumentare i prezzi. Inoltre, sorge la preoccupazione che tale livello di personalizzazione possa risultare invadente e fastidiosa per il consumatore che, da una parte ha il beneficio di ricevere offerte ad hoc ma anche il “fastidio” causato da una pubblicità intrusiva. Per tale motivo, si punta a raggiungere un trade-off tra il livello di personalizzazione e il livello di “intrusività”. Per quanto riguarda invece la regolamentazione di tali servizi basati sui big data, al momento non ne esiste una ben precisa, ma sempre con più urgenza, ormai, l’Antitrust si interroga sulla necessità di rendere obbligatorio per le imprese il condividere i propri dati e sulla necessità di regolamentare il trattamento dei dati personali dei consumatori.